Discriminazioni anagrafiche

13 settembre 2006
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Discriminazioni anagrafiche



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Ageism? Il neologismo ai più suonerà misterioso, ma pare che in Gran Bretagna sia un fenomeno sempre più diffuso in vari settori sociali e tra gli altri in quello sanitario. Il termine, coniato da Robert Butler verso la fine degli anni '60, va ad affiancarsi agli altri "ismi": razzismo, sessismo, classismo e identifica una forma di pregiudizio discriminatorio rispetto all'età. Un problema culturale, perciò, che va di pari passo con la diffusa tendenza a considerare in qualche modo riprovevole l'età avanzata. Ma in che modo è coinvolto l'ambito sanitario? Lo spiega un commento pubblicato sul British Medical Journal.

Ageism in sanità


Il dato è oggettivo, sostiene il commento del Bmj. L'evoluzione della società così marcatamente orientata al mercato tende a favorire i giovani cittadini più produttivi a scapito dei più anziani, che produttivi non lo sono più. E i sistemi sanitari riflettono la società nella quale sono inseriti. Il risultato è un più o meno dissimulato "ageism" che va a danno dei più anziani nell'ambito delle cure sanitarie. Questo potrebbe essere accettabile se gli esiti clinici dell'eventuale trattamento ai soggetti anziani fossero inferiori. Ma spesso così non è. Si tratta perciò di un criterio che diventa insostenibile e non etico. In Gran Bretagna la situazione ambientale ha favorito il fiorire del fenomeno che ora è diventato endemico. E nei settori più svariati: dall'oncologia alle unità coronariche, dalla prevenzione delle malattie vascolari al settore psichiatrico. A questa lista va aggiunta la gestione del paziente colpito da attacco ischemico transitorio o da ictus minori come evidenziato da un studio pubblicato dalla stessa rivista britannica. Lo studio ha confrontato la gestione degli attacchi ischemici nelle attività cliniche di routine con quelle ricevute da una popolazione specifica seguendo le linee guida nazionali. E' emerso così come esistesse un chiaro sottotrattamento nei pazienti sopra gli 80 anni. Evitare un ictus disabilitante è una priorità per tutti i pazienti a prescindere dall'età, per questo gli autori concludono che si tratti di una vera e propria discriminazione. A questo studio, precisa il commento, manca il punto di vista dei clinici, fondamentale per capire se davvero l'età rappresenti una discriminante nella scelta del trattamento. Uno studio qualitativo del passato sull'argomento aveva, infatti, evidenziato come i medici si sentano spesso incerti rispetto alle migliori e più sicure pratiche cliniche, siano spesso inconsapevoli degli ultimi sviluppi in ricerca e abbiano problemi con i servizi locali. Capire le ragioni dell'ageism, però, qualsiasi siano può favorire un ruolo dell'educazione come importante correttivo. Il dato clinico, infatti, è assodato. L'endarterctomia carotidea per la stenosi sintomatica dell'arteria carotidea ha un beneficio ancora maggiore sui soggetti anziani in virtù del loro maggiore rischio assoluto di ictus. Si tratta di diffondere il più possibile questa conoscenza presso le comunità sanitarie locali. Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda le risorse. L'ageism prolifera laddove mancano o sono inadeguate le risorse per la popolazione target, un problema per esempio è la carenza di clinici per i pazienti con attacchi ischemici transitori. Qui è la politica a dover individuare il problema e una volta riconosciuto a agire di conseguenza. Qualche risultato, dice il commento del Bmj, si è visto in ambito oncologico e nella malattia coronarica. Non bisogna sorprendersi, conclude la rivista, se i pazienti anziani non si fidano del loro servizio sanitario e cercano protezione in una legislazione antidiscriminazione. Il risultato potrebbe essere un sistema sanitario autogestito dal paziente.

Marco Malagutti



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