Screening per le attempate?

16 gennaio 2009
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Screening per le attempate?



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Tra le tante questioni in discussione quando si parla di fecondazione assistita una delle più dibattute è quella della diagnosi pre-impianto. I difensori della legge 40 sostengono che lo scopo sia quello di permettere a coppie sterili di avere un figlio e non quello di agire preventivamente sulle malattie genetiche, i detrattori della Legge ci vedono (nella diagnosi prenatale) un enorme progresso per la medicina e per l'uomo. I primi, però, hanno trovato un'insperata sponda scientifica in uno studio olandese pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato al congresso della European Society of Human Reproduction. Le chance di una donna non più giovanissima di andare incontro a gravidanza tramite fecondazione in vitro (IVF) si ridurrebbero se gli embrioni da impiantare sono sottoposti prima a screening.
Esattamente il contrario di quello che ci si dovrebbe aspettare. Lo studio ha inevitabilmente sollevato polemiche.

Il ruolo della diagnosi


Il ricorso a IVF è aumentato in modo costante nell'ultimo decennio. Tra Stati Uniti ed Europa nel 2002 si sono contati 352.769 tentativi di cicli di fecondazione assistita. E in quasi la metà di questi cicli la donna aveva dai 35 anni in su, in linea con un trend demografico per il quale i figli si fanno sempre più tardi. E l'IVF in sé non può compensare il minor tasso di fecondità associato all'età in aumento. Una causa potenziale del basso tasso di gravidanza nelle donne over 35 sottoposte a IVF, premettono i ricercatori olandesi, sta nell'aumentata incidenza di anormalità cromosomiche negli embrioni di queste donne. Si ritiene, infatti, che la maggior parte di questi cromosomi anomali non si sviluppino fino al termine. Ecco perché la conseguenza logica è sempre sembrata che lo screening genetico pre-impianto fosse il sistema per aumentare le nascite in queste donne. In questo tipo di screening un singolo blastomero è aspirato da ciascun embrione, in modo da determinare il numero di copie di un set di cromosomi. Gli embrioni identificati come anormali sono eliminati e quelli con una normale costituzione genetica sono selezionati per il trasferimento. Ragione per cui la diagnosi pre-impianto è sempre più comune e molti la vorrebbero istituzionalizzare a procedura standard per le donne non più giovanissime. Ma le evidenze sulla sua efficacia, dice lo studio, sono limitate.
Se, infatti, dagli studi osservazionali, emerge un aumentato numero di impianti riusciti, non altrettanto si può dire per le gravidanze portate a termine. O almeno i risultati non sarebbero così chiari. Lo studio, randomizzato e in doppio cieco, condotto presso il Centro di Medicina Riproduttiva dell'Università di Amsterdam, valuta le gravidanze dopo fecondazione assistita con o senza diagnosi prenatale in donne sopra i 35 anni. E la diagnosi prenatale - dicono i risultati - non è così provvidenziale, anzi.

Risultati discutibili


I risultati hanno naturalmente sconcertato, anche perché, come sottolinea il New York Times, portano a concludere della sostanziale opinabilità dello screening genetico, che non dovrebbe diventare esame standard. Oltretutto, l'accusa, neanche troppo velata, di molti esperti è che i centri per la fertilità speculino non poco su questo tipo di screening, che per la sua complessità è anche molto costoso. Lo studio ha coinvolto 408 donne di età compresa tra i 35 e i 41 sottoposte a tre cicli di fecondazione in vitro. La metà delle donne ha effettuato lo screening e sono proprio loro ad aver avuto una più bassa percentuale di gravidanze: 25% contro 37%. Sul perché succeda le ipotesi sono molte, una delle quali è che la biopsia necessaria allo screening genetico sia dannosa per la fase finale di sviluppo dell'embrione. Ma le perplessità sullo studio non mancano. Ed è proprio un'esperta italiana Anna Ferraretti, direttore scientifico della Società Italiana per lo Studio della Medicina Riproduttiva, a esplicitarle sul New York Times. I ricercatori olandesi, infatti, non hanno grande esperienza in questo tipo di procedure e così hanno in alcuni casi prelevato la cellula per la biopsia prima di quanto preveda la procedura standard. Come a dire che la fecondazione assistita deve essere praticata in centri qualificati e forse quello olandese non lo è.

Marco Malagutti



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