Ormoni (quasi) riabilitati

18 aprile 2007
Aggiornamenti e focus

Ormoni (quasi) riabilitati



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Dopo la costante crescita degli anni '90, la percentuale di donne in menopausa che ricorre alla terapia ormonale sostitutiva è gradualmente diminuita dal 2002. E si può ben capire. Risale all'estate di quell'anno, infatti, l'esito di due studi statunitensi, che dichiararono come la terapia ormonale sostitutiva aumentasse il rischio di tumore al seno. E sull'onda di quegli studi altri ne sono seguiti dove la terapia finiva sul banco degli imputati per le ragioni più diverse: dall'ictus alla trombosi fino al tumore uterino. Un effetto, come rilevarono molti analisti all'epoca, legato al "vizio" di utilizzare i farmaci prima che le prove scientifiche derivate da studi clinici controllati pubblicati su riviste scientifiche fossero disponibili. Nel tempo sono stati vari i tentativi di riabilitare la terapia ormonale o quanto meno di ridimensionarne le responsabilità. Molti anche in Italia hanno parlato di allarmismo infondato e di un'epidemia di paura da ridimensionare, in virtù di studi poco rappresentativi delle donne, cui in genere vengono consigliate queste terapie. Uno studio statunitense appena pubblicato da Jama, riporta un po' di chiarezza sull'argomento, riabilitando, seppur in parte, la terapia estroprogestinica.

Quali novità


I ricercatori si focalizzano in particolare su un aspetto, ossia il tempo di inizio della terapia. Un aspetto centrale. Per farlo hanno ripreso in mano i risultati del Women's Health Initiative (WHI), uno dei due diventati capi d'accusa, nel quale 10739 donne in età postmenopausale e isterectomizzate sono state messe a confronto con 16608 pazienti non isterectomizzate. Per concludere che, utero o no, la terapia a lungo termine poteva avere conseguenze cardiovascolari. La nuova valutazione considera gli effetti della terapia ormonale sulla malattia coronarica e sull'ictus, in funzione dell'età e degli anni di inizio della menopausa. E i ragguagli non mancano. La terapia, conclude la ricerca, è l'ideale per donne attorno ai 50 anni che vi facciano ricorso per le vampate e la sudorazione notturna, sintomi tipicamente associati alla menopausa. In pratica guardando più in dettaglio i risultati del WHI è risultato evidente che tra le donne più giovani gli ormoni non davano problemi cardiovascolari. Esiste, perciò, una finestra temporale, all'inizio della menopausa o comunque poco prima, durante la quale la terapia è sicura. Se, perciò, le donne iniziano la terapia ormonale sostitutiva nei primi dieci anni dall'inizio della menopausa e la terapia non supera i quattro o cinque anni, non ci dovrebbero essere problemi. Lo stesso non vale per le donne più "mature", gli ormoni estrogeni e i progestinici, infatti, non fanno che peggiorare le placche aterosclerotiche che si sviluppano naturalmente con l'età. In più non è da escludere che i sintomi menopausali siamo in qualche modo un sistema di allerta per il rischio cardiovascolare, ossia una sintomatologia particolarmente violenta potrebbe essere il segnale della necessità di un check up per i fattori di rischio cardiovascolari. Se la questione non è risolta, concludono gli autori, quantomeno è un po' più chiara. E un fatto rimane certo la terapia ormonale resta indicata solo se strettamente necessario e dopo un'attenta e condivisa valutazione di rischi e benefici tra medico e paziente.

Marco Malagutti



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