Dopo l'ormone vero, quello finto

30 ottobre 2002
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Dopo l'ormone vero, quello finto



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Il commento di Science riassume efficacemente la situazione: per quanto scoraggianti siano gli ultimi studi sugli estrogeni nella postmenopausa, non si può negare la loro grande efficacia nel mantenere la massa ossea, cioè nel contrastare l'osteoporosi.
L'ideale, dunque, sarebbe disporre di sostanze in grado di agire sull'osso esattamente come gli estrogeni, ma che non fossero in grado di svolgere un'azione sugli altri tessuti interessati. Infatti, il punto è la presenza dei recettori, cioè delle strutture della cellula che consentono a questa o quella sostanza di interagire con la cellula; nel caso degli estrogeni, infatti, ci sono recettori sia nelle cellule deputate al rimodellamento dell'osso, ma anche nell'utero e nella ghiandola mammaria, così come nell'apparato vascolare, con gli effetti indesiderati che ormai tutti conoscono.
Le ipotesi di lavoro, a questo punto sono due: o trovare analoghi degli estrogeni capaci di svolgere la stessa funzione sull'osso, ma non sui recettori degli estrogeni di altri tessuti, oppure trovare sostanze che sfruttino addirittura un'altra via per mimare gli effetti dell'estrogeno. Alla prima ipotesi rispondono i cosiddetti SERM, modulatori selettivi dei recettori estrogenici. In pratica si tratta di sostanze (tamoxifene, raloxifene) che si agganciano ai recettori estrogenici soltanto di alcuni tessuti, mentre per così dire ignorano quelle dei tessuti riproduttivi (la ghiandola mammaria per esempio). Le due molecole citate, per esempio, sono già in uso da qualche tempo, con scopi diversi : la prima come antitumorale, la seconda come antiosteoporotico.
La seconda via, cioè il ricorso a sostanze che sfruttano un'altra strada è stata inaugurata recentemente dall'estrene, per ora sperimentata sul topo.

Come funziona il finto estrogeno


Per capire la novità va premesso che l'estrogeno si lega al recettore all'interno del nucleo cellulare, avviando così una complessa cascata di reazioni chimiche; alla fine, conduce alla sintesi di fattori di trascrizione, vale a dire sostanze che leggono l'informazione genetica e avviano la produzione delle sostanze cui l'informazione stessa si riferisce. Insomma esiste un'interazione tra il recettore e il DNA. Tuttavia questa non sembra essere l'unica strada possibile, anzi si postula che non tutti gli effetti degli estrogeni dipendano dall'interazione tra recettore e DNA. Sostanzialmente, questi effetti sarebbero prodotti anche senza impegnare tutto il recettore, ma soltanto la parte che serve a legare l'estrogeno, un meccanismo chiamato "non genotropico". In questo modo, l'estrene sarebbe in grado di fare solo "una metà" del lavoro dell'estrogeno e, di conseguenza, indifferentemente dal sesso, vale a dire che funzionerebbe anche nei maschi.

I risultati


Come accennato, per ora l'estrene è stato impiegato soltanto nel topo, per la precisione in femmine ovariectomizzate, così da simulare la menopausa. Lo studio ha sostanzialmente dimostrato due cose: la massa ossea delle cavie aumenta con la somministrazione di estrene come e più che somministrando estrogeni naturali e, nella femmina ovariectomizzata, non riesce a riprodurre gli altri effetti, in questo caso indesiderati, dell'ormone naturale. Infatti nelle femmine trattate con l'estrene non si è arrestata l'atrofia dell'utero, che è una delle principali conseguenze del venir meno della produzione di ormoni femminili. Inoltre, l'estrene agisce anche sui maschi, sempre senza interessare il tessuto riproduttivo ma soltanto il metabolismo dell'osso. Infine, ed è l'altro aspetto cruciale, si è visto che l'estrene non favorisce, in vitro, la crescita delle cellule tumorali prelevate da carcinoma mammario, cosa che invece fanno gli estrogeni.

Maurizio Imperiali

Fonte

Kousteni S, Chen JR, Bellido T et al. Reversal of Bone Loss in Mice by Nongenotropic Signaling of Sex Steroids. Science 2002 298: 843-846.



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