Un lungo sentiero

01 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Un lungo sentiero



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"Prima di poter disporre di un vaccino efficace per l'uomo dovranno trascorrere almeno cinque anni. Ma non c'è altra strada che quella di andare avanti". Con queste parole si era espresso Robert Gallo, uno degli scopritori del virus dell'Hiv, in una sua recente visita italiana. Le cose non sono molto cambiate. E oggi a Varese, ospite dell'Università dell'Insubria che gli ha conferito la laurea Honoris causa in medicina e chirurgia, lo ha ribadito: "Non so né quando né se si troverà un vaccino. Ma ci stiamo lavorando". La sua lectio magistralis è stata l'occasione per ripercorrere anni di ricerca nel campo dell'Aids. Una ricerca che lo ha visto tra i protagonisti assoluti.

Il percorso


Robert Gallo, statunitense nato a Waterbury nel Connecticut in una famiglia di immigrati italiani, è riconosciuto a livello mondiale come uno dei leader nei campi della virologia, dell'immunologia e dell'oncologia. Prima, infatti, di entrare nel vivo della ricerca nel campo dell'Aids a Gallo e al suo gruppo di ricerca si deve la scoperta del primo ormone e fattore di crescita dei linfociti T, designato poi interleuchina-2 . Una scoperta cruciale in campo immunologico e oncologico che ha permesso di crescere in vitro i linfociti T, cellule del sangue alla base della risposta immunitaria. Di seguito la scoperta, nei primi anni '80, dei virus umani ad azione oncogena, i retrovirus HTLV-1 e HTLV-2. Il primo è responsabile della leucemia a cellule T degli adulti. "Un dogma del passato abbattuto" come ha sottolineato nel suo intervento Gallo. "Prima" ha aggiunto "non si pensava che un retrovirus potesse infettare l'uomo ne che un virus potesse causare un tumore, invece....". Ma la vera svolta nella carriera del virologo statunitense arriva nel 1983, data della scoperta, in concorrenza al gruppo dello scienziato francese Luc Montagnier, del retrovirus Hiv, considerato il responsabile dell'Aids. Una concorrenza tra i due ricercatori fonte, almeno inizialmente, di qualche tensione, ma culminata, addirittura con il coinvolgimento del presidente statunitense Reegan e del primo ministro francese Chirac, nell'attribuzione della scoperta del virus ex aequo. Negli stessi anni Gallo mette a punto il test diagnostico per determinare la sieropositività da virus Hiv nel sangue. Nel biennio 1995-1996, poi, il suo gruppo di ricerca scopre i primi inibitori naturali dell'infezione da Hiv, le betachemochine. Un cammino, non ancora terminato, che il virologo dell'Institute of Human Virology, ha ripercorso nella sua "lezione" varesina. Tra i meriti di Gallo va annoverato anche, come ha ricordato il preside di medicina dell'Insubria Paolo Cherubino, la nascita della Fondazione Ricerca e Progresso, nata per favorire lo scambio di ricercatori tra Italia e Usa ma anche il rientro dei tanto evocati "cervelli in fuga". La fondazione ha creato un filo diretto tra laboratori italiani e stranieri e, non a caso, presso l'istituto virologico che fa capo a Gallo ci sono scienziati italiani.

Le prospettive


Ma la strada, il ricercatore non si stanca di ripeterlo, è ancora lunga e la malattia continua, nonostante i passi avanti della ricerca, a mietere vittime. Le soluzioni? Educazione e scienza sono le due parole chiave. Sensibilizzare l'opinione pubblica cioè e continuare a finanziare la ricerca che ancora si trova di fronte a nodi intricati. Gallo non ha mancato così di elencare sia le difficoltà sia le strade percorribili. Da una parte nella produzione del vaccino contro l'Hiv, al contrario che per altre malattie virali, non è possibile utilizzare le forme vive e attenuate del virus perché troppo pericolose, mentre i vaccini basati su virus interi e inattivati non hanno ancora dato i risultati sperati nei test sugli animali e sono forse altrettanto rischiosi. Rimane aperta, però, la possibilità di utilizzare parti dell'agente infettivo per la creazione di vaccini a subunità. "Bisogna raggiungere", dice il virologo, "l'immunità totale contro l'infezione". Un caso unico nella storia dei vaccini. Il vaccino ideale, secondo Gallo, perciò, deve bloccare l'infezione attraverso un meccanismo di sostegno che non permetta l'ingresso del virus. E la chiave di volta in questo caso si chiama CCR5 un corecettore, indispensabile al virus per entrare nella cellula bersaglio, identificando specifici ligandi di CCR5 che permettano di ridurre l'esposizione all'agente infettivo. L'alternativa è l'immunità umorale, che utilizza l'involucro esterno del virus per stimolare nell'organismo aggredito la produzione di anticorpi reattivi, in modo da arrivare all'immunità totale. Qualche risultato si inizia a vedere, ma la strada è lunga.

Marco Malagutti



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