Meditando...le evidenze spariscono

23 maggio 2003
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Meditando...le evidenze spariscono



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Un editoriale del British Medical Journal fa il punto sulle tecniche di meditazione. Analizzando i vari studi, effettuati con lo scopo di dimostrare un qualche effetto terapeutico di queste pratiche, l'autore mette in luce i molti punti deboli. A livello clinico si sono studiate soprattutto le tecniche meditative non religiose (mistiche): i benefici ottenuti sono piuttosto scarsi e, a ben vedere, questi risultati sono spesso privi di validità. Gli studi condotti, infatti, non rispettano le regole con cui si devono pianificare ed eseguire i trial clinici affinché i risultati siano significativi.

Uno dei requisiti irrinunciabili per uno studio scientifico è che sia controllato: al gruppo di pazienti che riceve il trattamento in esame deve essere contrapposto un gruppo simile di pazienti che non riceve il trattamento. Questo è il primo punto debole della maggioranza di trial sulla meditazione, che si limitano a rilevare le differenze tra coloro che praticano da lungo tempo e chi, invece, non la pratica o è solo agli inizi. Ciò che manca per una valutazione corretta è lo screening di base, ovvero le differenze esistenti, prima dello studio, tra chi aveva scelto di dedicarsi alla meditazione trascendentale e chi no, oppure tra chi ha continuato nella pratica e chi l'ha abbandonata. In sostanza gli studi si sono limitati ad osservare soggetti già predisposti favorevolmente verso questa tecnica. Infatti gli studi siffatti sugli effetti cognitivi della meditazione mantra danno risultati positivi, mentre studi analoghi su soggetti naive e controlli plausibili danno esiti negativi. Questi ultimi sono gli unici credibili, in quanto hanno confrontato gli effetti della meditazione su persone che iniziavano a praticarla per la prima volta e altre persone (controlli) che fingevano di praticarla.

Un'altra comune debolezza degli studi sulle pratiche meditative deriva dall'impiego di più interventi terapeutici contemporaneamente e dalla scorretta analisi statistica dei risultati.
Gli studi controllati sulla meditazione cosciente (consapevolezza distaccata delle esperienze) utilizzavano contemporaneamente altri interventi, come la terapia cognitiva, e raramente dei gruppi di controllo attivi (che simulassero gli interventi effettuati dall'altro gruppo). In questo modo è impossibile attribuire eventuali benefici osservati ad uno specifico trattamento.

La meditazione Sahaja (osservazione passiva dei pensieri) sembrava migliorare alcuni sintomi nei pazienti con asma difficile, i benefici però scomparivano dopo 2 mesi. Analogamente sui pazienti epilettici ha dimostrato una riduzione dello stress e della frequenza delle convulsioni, ma i confronti tra gruppo meditazione e gruppo controllo erano carenti, inoltre c'erano differenze consistenti nei livelli di ansia e frequenza delle crisi dei due gruppi allo screening basale.

Il metodo Benson di rilassamento (una forma non mistica di meditazione trascendentale), aggiunto ad un programma di riduzione del rischio su uomini anziani con ipercolesterolemia, non ha modificato i lipidi plasmatici, il peso o la pressione arteriosa.

Un trial sulla meditazione trascendentale (pratica popolare in cui si ripete un mantra), con adeguato screening basale, ha evidenziato che in 3 mesi si riducevano la pressione sistolica e quella diastolica dei soggetti che si erano dedicati alla pratica meditativa.
Un altro studio, mirato a misurare la tolleranza all'esercizio fisico in uomini con patologia coronarica, non era randomizzato, ha reclutato solo soggetti favorevolmente predisposti e, comunque, le differenze al basale tra i due gruppi superavano decisamente quelle degli effetti riportati.
Analogamente, gli effetti osservati da altri studi sull'assottigliamento della tonaca intima dell'arteria carotidea (una misura dell'arteriosclerosi), sono ambigui perché la meditazione trascendentale si affiancava a dieta, esercizio e integratori naturali.

L'autore dell'articolo, un ricercatore che si occupa di medicine complementari, conclude che forse le meditazioni possiedono qualche effetto terapeutico, che però dovrà essere rigorosamente dimostrato. Solo così le tecniche più adatte potranno essere impiegate con successo su molti pazienti.

Elisa Lucchesini



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