Sonni alternativi

16 marzo 2007
Aggiornamenti e focus

Sonni alternativi



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“Morire, dormire, sognare forse...” si direbbe il dilemma di chi deve affrontare ogni notte la difficoltà ad addormentarsi. Anche se avevano tutt’altra intenzione, le parole shakespeariane pronunciate dal principe Amleto racchiudono la sensazione di angoscia del non riuscire a chiudere gli occhi per riposare serenamente. Un problema che si presenta con molte sfumature, dall’insonnia cioè l’incapacità di addormentarsi, ad altri disturbi che interrompono il sonno in momenti diversi della notte (o del periodo di riposo). Un buon motivo per considerare nel complesso l’insonnia e altri disturbi del sonno, anche se poi se ne fa un’ulteriore distinzione in primaria e secondaria, cioè non associata ad altre patologie oppure compresente.

Opzioni da scegliere


Ma al di là delle classificazioni, chi ne soffre vuole solo una cosa: guarire, cioè dormire. Le terapie più comuni vanno dalle benzodiazepine ai farmaci non benzodiazepinici, a seguire antidepressivi, farmaci da banco e terapia comportamentale. Esiste anche la possibilità di usare terapie non convenzionali, medicine complementari e alternative (CAM), come rimedi fitoterapici e tecniche e metodi di rilassamento. Ma si sa molto poco sulla prevalenza del loro uso e sulla loro efficacia. Per tentare di rispondere a questo vuoto di informazioni sono stati consultati i dati raccolti da una ricerca condotta nel 2002, la National Health Interview Survey (NHIS) isolando una popolazione di adulti composta da 31 mila soggetti. L’obiettivo era stimare la prevalenza del disturbo nella popolazione statunitense, e la frequenza con cui si associava ad alcune patologie e analizzare l’uso delle CAM per curarlo.

Insonnia e altri malanni


Il quadro epidemiologico che ne è emerso indicava che il 17,4% del campione aveva sperimentato nei 12 mesi precedenti difficoltà a dormire, sonno disturbato e insonnia vera e propria. Si confermava un disturbo prevalentemente femminile, il 60,9% delle donne lo segnalavano contro un 39,1% degli uomini. Il picco di probabilità di soffrirne oscillava con un massimo nella mezza età (45-55 anni) scendeva con l’avanzare degli anni (65-84 anni) e risaliva nella vecchiaia avanzata (oltre 85 anni). Per stimare l’eventuale comorbidità sono state considerate 50 diverse patologie. I soggetti che non ne riportavano nessuna avevano un rischio relativo di soffrire di insonnia e disturbi del sonno più basso di chi ne riportava almeno una. Infatti tra le persone che ne soffrivano solo il 4,1% non aveva altri tipi di patologie. Un’analisi più approfondita, focalizzata solo sulle maggiori possibili comorbidità, ha poi rilevato che il 30,1% degli insonni soffriva di ipertensione, il 3% di insufficienza cardiaca congestizia, il 10,8% di diabete e il 45,9% di ansia e depressione e il 29,4% era obeso secondo l’indice di massa corporea calcolato con le misure di peso e altezza indicate al momento dal soggetto.

Profilo degli insonni

Isolando la popolazione di insonni, il 4,5% dichiaravano di usare alcuni tipi di CAM per trattare il problema, una quota apparentemente piccola ma che estrapolata dalla popolazione generale (e non ospedalizzata) si traduce in oltre un milione e 600 mila (1.615.699) adulti. Con maggiore probabilità erano nella fascia più giovane e con un livello di educazione più alto. Le scelte erano orientate fondamentalmente verso un ampio gruppo di interventi, denominato biologically based therapy, che racchiudeva fitoterapia, diete, integrazioni con vitamine, minerali o acidi grassi, functional food e che incrementava l’assunzione di composti biologicamente attivi (polifenoli, fitoestrogeni, omega-3, carotenoidi). Il 64,8% sceglieva questa strada, mentre il 39,1% si rivolgeva a tecniche e metodi che prevedevano il coinvolgimento del corpo e della mente. Il 60,7% aveva comunicato al proprio medico le CAM che seguiva per curare l’insonnia, e il 56% affermava che erano importanti per il mantenimento del loro stato di benessere e di salute. Il 66,6% aveva scelto una CAM perchè considerava interessante fare un tentativo in questa direzione, ma l’altra motivazione più comunemente riscontrata (63%) era la possibilità che la combinazione di trattamenti complementari con quelli convenzionali potesse essere di aiuto.
I risultati ottenuti ripercorrono abbastanza quanto riportato da altri precedenti lavori, e il profilo di chi adotta o integra le CAM per curare l’insonnia ricalca quello dei soggetti che in generale usano le terapie complementari. Inoltre, in questa popolazione di pazienti si riscontra una quota più alta di consapevolezza dell’importanza di segnalare al medico le proprie scelte terapeutiche, molto più dei normali utilizzatori di CAM in generale.

Simona Zazzetta



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