Nella sclerosi il virus pesa, ma perché?

12 luglio 2006
Aggiornamenti e focus

Nella sclerosi il virus pesa, ma perché?



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L'idea che le malattie autoimmuni siano più o meno direttamente scatenate da infezioni è una costante della ricerca. A maggior ragione per la sclerosi multipla, sulle cui cause davvero si sa poco. Oggi uno studio prospettico viene a ripresentare l'ipotesi dell'infezione come causa o concausa della malattia. Quest'ultima, in estrema sintesi, consiste in una forte reazione immunitaria nei confronti del tessuto nervoso, diretta in particolare contro la mielina.
Gli autori della ricerca hanno battuto un terreno già esplorato in precedenza, ovvero i rapporti tra sclerosi multipla e virus di Epstein Barr o EBV. L'EBV non solo è responsabile della mononucleosi, infezione che moltissimi se non tutti hanno contratto, ma ha la capacità di insediarsi nell'organismo, con particolare predilezione per il sistema nervoso, con la possibilità di riattivarsi nel tempo. A mettere il virus sul banco degli accusati, diverse circostanze: mentre praticamente tutti i malati di sclerosi sono positivi per gli anticorpi contro l'EBV, nella popolazione generale c'è un 10% negativo; coloro che sviluppano la malattia ha maggiori probabilità di aver sofferto la mononucleosi; infine, nei bambini che vengono colpiti dalla mononucleosi si riscontra una immunoreattività a questo virus superiore a quella di molti altri virus altrettanto comuni. Con l'imporsi di tecnologie di diagnostica molecolare (quella capace di trovare i più minuti frammenti di DNA o RNA), le prove si sono accumulate: per esempio durante le fasi acute della malattia, nei pazienti si riscontrano più elevati livelli del DNA del virus; nel liquido cerebro-spinale si sono identificati particolari anticorpi, oligoclonali, diretti verso le proteine del virus.

Presente in forze prima della malattia


Lo studio arrivato ora fa un passo successivo, in quanto si basa sull'analisi della presenza degli anticorpi anti-EBV prima dell'esordio della malattia. La ricerca è stata condotta controllando le persone che si erano sottoposte a esami di routine, in una popolazione di iscritti a una sorta di mutua (la Kaiser Permanente), nel periodo tra il 1965 e il 1974; di questi assistiti, 42 hanno poi sviluppato la sclerosi multipla. A questo punto i ricercatori sono andati a verificare il livello degli anticorpi per il virus di Epstein Barr nei campioni prelevati a suo tempo nei pazienti e in un gruppo di controllo costituito da persone paragonabili per età e sesso. La risposta è stata che già molto prima di ammalarsi, i pazienti presentavano un livello anticorpale più elevato e questo aumento di anticorpi si verificava da 15 a 20 anni prima della comparsa della sclerosi multipla. Fatta l'analisi statistica, se il livello di anticorpi era 4 volte superiore alla norma, il rischio di sclerosi multipla era più che raddoppiato. I pazienti presentavano anche una maggiore reattività a un particolare sottoinsieme degli antigeni dell'EBV (EBNA-1, antigene nucleare-1) e anche l'innalzamento degli anticorpi specifici per l'EBNA-1 è correlato a un maggiore rischio della malattia.

Un virus capace di nascondersi


Come interpretare il dato, però, è un altra faccenda. Può darsi che il virus abbia colonizzato il sistema nervoso centrale, e si riattivi durante le fasi cute invadendo le cellule della glia. D'altra parte nelle lesioni tipiche della malattia non è stata trovata traccia del virus. E' anche possibile che le cellule B (linfociti) infettate dal virus raggiungano il sistema nervoso centrale e lì scatenino una reazione contro il virus capaci di portare all'infiammazione del tessuto nervoso. Ma queste non sono le uniche ipotesi: può darsi che le cellule B periferiche infette scatenino una reazione autoimmune "crociata" che coinvolge anche gli antigeni del tessuto nervoso, che normalmente non suscitano l'azione immunitaria. Infine, visto che l'EBV soggiorna a lungo nell'organismo, può ben essere che queste reazioni si scatenino ciclicamente prima di arrivare alla malattia. Insomma, un legame c'è, ma come si esprima è difficile dirlo. Inoltre, come spiega un editoriale che commenta la ricerca, resta da scoprire se, agendo sulla risposta del sistema immunitario al virus, si possa evitare la riacutizzazione della malattia. O, magari, prevenirla.

Maurizio Imperiali



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