Occhi protetti per legge

28 novembre 2008
Aggiornamenti e focus

Occhi protetti per legge



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In ambito sanitario, lo screening rappresenta una strategia di prevenzione molto efficace basata su un protocollo di indagini diagnostiche volte a individuare nella popolazione generale, mediamente a rischio, una patologia. Tale approccio, per essere definito tale, deve essere incluso in linee guida o in normative nazionali o locali, tutto il resto rientra nell'iniziativa lasciata al privato, in forma singola o associativa. In Italia, lo screening è stato previsto in molti ambiti e per diverse patologie mentre manca del tutto in materia di prevenzione, controllo e correzione della vista, come fa notare la Commissione difesa vista (CDV) che da sempre si occupa di promuovere questi temi. E questa volta, a sottolineare le lacune nazionali, lo fa attraverso due indagini: una sul comportamento degli italiani, l'altra su quello delle istituzioni.

Leggi poco lungimiranti


Il primo dato rilevato da Silvia Stefanelli, responsabile della ricerca, è che sul fronte della prevenzione le istituzioni latitano: "Non esiste alcuna legge nazionale specifica sulla prevenzione visiva che imponga di effettuare controlli o screening mirati, se si eccettua l'esame di guida, che ha finalità diverse e coinvolge comunque solamente una parte della popolazione". Nell'ordinamento italiano, per motivi di tipo economico, questo tipo di prevenzione non ha trovato uno sviluppo vero e proprio e l'unica legge rilevante in materia è quella titolata: "Disposizioni per la prevenzione della cecità e per la riabilitazione visiva e l'integrazione sociale e lavorativa dei ciechi pluriminorati", ma all'interno del testo, in realtà, solo una minima parte è dedicata alla prevenzione. "Sebbene l'attuale Piano Sanitario Nazionale (2006-2008) contenga un intero paragrafo sulla prevenzione sanitaria e sulla promozione della salute - precisa Stefanelli - non vi è ancora alcun accenno a programmi di prevenzione in campo visivo". Le prime iniziative di prevenzione vere e proprie risalgono al 1997 promosse dalle ASL ed enti privati e gli effetti, a distanza di 10 anni, non sembrano soddisfacenti considerando i dati emersi dall'altra indagine commissionata da Commissione Difesa Vista.

Piccoli difetti inevasi


E', infatti, stato rilevato che nella fascia di età 1-5 anni, il 6% di un campione rappresentativo di bambini, presenta difetti visivi come strabismo, ipermetropia, astigmatismo e miopia e circa il 4% porta occhiali correttivi. La correzione del difetto copre il 66% dei bambini che ne avrebbero bisogno, il che significa che nel 34% dei casi il difetto non è corretto. Il mancato intervento interessa anche la fascia 6-13 anni in cui la percentuale di chi ha problemi agli occhi sale al 31% e il 25%, cioè l'80% di chi ne ha bisogno, fa uso di occhiali correttivi. Resta una quota, il 20%, sempre troppo alta di difetti non corretti. Tra gli adulti, considerati dai 14 anni in su, il 66% presenta difetti della vista, il 53% indossa occhiali ma ancora una volta una quota di chi ne avrebbe bisogno (17%) resta senza correzione. Inoltre, la scoperta del difetto è affidata all'iniziativa del singolo che di fronte a un fastidio si rivolge allo specialista o all'ottico con il risultato che meno del 40% dei bambini tra uno e cinque anni ha fatto una visita completa o un controllo della vista nella vita, il 72% tra sei e 13 anni e l'85% dopo i 14 anni. In generale, l'iniziativa sembra arrivare dal medico di famiglia, dai genitori, dagli insegnanti o, in misura minore, dallo specialista, ma non è sufficiente a coprire la quantità di controlli che invece andrebbero eseguiti. Conclusioni ancora più critiche, quelle tratte dalla Commissione, considerando anche i dati resi noti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: il 75% della cecità negli adulti sarebbe evitabile attraverso la prevenzione e la cura delle anomalie visive, e se ciò avvenisse già alla nascita i casi di cecità infantile si ridurrebbero del 50%.

Simona Zazzetta



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