Un gene non basta

23 febbraio 2005
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Un gene non basta



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La diffusione del melanoma si è dimostrata piuttosto rapida negli ultimi anni, fino a raddoppiare nel corso dell'ultimo decennio. È una forma molto aggressiva di tumore, che colpisce la pelle ma se metastatizza, e raggiunge altri organi, lascia un'aspettativa di vita molto breve che non supera i sei-dieci mesi. Tale gravità giustifica la particolare attenzione rivolta alla prevenzione, dal momento che l'eccessiva e continua esposizione ai raggi ultravioletti del sole è uno dei fattori di rischio più importanti. Come pure il controllo periodico dei nevi, che possono rappresentare lo stadio iniziale di un melanoma.

Pesci di laboratorio


Tuttavia esiste anche una predisposizione genetica che non può essere trascurata. Ed è proprio su quella che hanno lavorato i ricercatori del Children's Hospital di Boston, usando un modello animale piuttosto curioso: lo zebrafish.E' un piccolo pesce tropicale molto diffuso negli acquari, molto facile da allevare perché si riproduce rapidamente e con una prole molto numerosa, fino a 300 esemplari nell'arco di una settimana. Ma non è l'unico motivo per cui è spesso usato nei laboratori, in questo caso infatti l'aspetto interessante è che il suo melanoma è molto simile a quello umano ed è stato interamente sequenziato, così tutti i suoi geni sono noti. Si presta quindi bene a processi di ingegnerizzazione, cioè a modificazioni genetiche guidate opportunamente che determinano la comparsa del carattere voluto nell'animale. In questo caso veniva indotta una mutazione genetica in un gene chiamato BRAF. Si tratta di una variante genetica osservata nel 75% dei melanomi, ma nessuno ne conosce il ruolo, caso mai ne avesse uno, nello sviluppo del tumore.

Geni (s)bloccati


Il pesce così mutato sviluppa sulla pelle un nevo scuro che però non evolve in melanoma. Ciò accade solo quando unitamente alla mutazione BRAF si accompagna la perdita di un altro gene chiamato p53, noto per la sua azione di soppressore di tumore. In questa circostanza il nevo diventa maligno e invasivo con modalità molto simili a quelle del tumore umano. Vale a dire che l'azione della mutazione BRAF da sola non è sufficiente ma deve essere attivata e un deficit dell'azione di soppressione del p53 mancante è quanto basta per "sbloccarla". I risultati aprono prospettive terapeutiche mirate ai geni coinvolti nella patogenesi e il piccolo zebrafish rappresenterà, nel caso, un ottimo test per verificare l'efficacia di tali farmaci.

Simona Zazzetta



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