Chi lascia la strada vecchia...

04 maggio 2017
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Sta diventando sempre più frequente il recupero di vecchi farmaci, dal momento che inventarne di nuovi, dal punto di vista chimico, è una possibilità in larga parte ormai esplorata.
Capita così che molecole considerate poco efficaci, o troppo tossiche, rivelino lati nascosti e benefici. Anche questi imprevisti, tuttavia, non sono casuali, anzi si potrebbe dire che sono costruiti ad arte, grazie alle evoluzioni tecniche e biochimiche.

Il caso


La doxorubicina rappresenta un esempio recente di quanto sopra esposto. Molecola appartenente alla classe delle antracicline, antibiotici citotossici attivi su molti tipi di neoplasie, era ormai relegata a farmaco di ultima scelta a causa dei suoi effetti collaterali. A dispetto dell'efficacia nota da tempo, infatti, la doxorubicina possiede uno scarso indice terapeutico che ne limita fortemente l'utilizzo. Due i problemi maggiori: la tossicità acuta a livello del midollo osseo e la tossicità cardiaca sia acuta che cronica.
Il primo problema è comune a molti farmaci usati in chemioterapia, ma si manifesta qui in forma particolarmente grave, obbligando a sospendere la terapia. Quando le cellule cancerose iniziano a difendersi dal farmaco (per loro velenoso), bisognerebbe aumentare la dose per mantenere l'efficacia. Dosi più elevate di doxorubicina, però, non sono sperimentabili perché prevarrebbe la tossicità sul paziente.
Il secondo problema, invece, è tipico di questa molecola che, sia dopo le prime somministrazioni (acuta) sia col progredire della cura (cronica), induce cardiomiopatia congestizia o addirittura insufficienza cardiaca congestizia.

Le soluzioni


Il primo trucco fu quello di inserire la doxorubicina all'interno dei liposomi (piccole sfere fosfolipidiche) in modo che la dose efficace venisse raggiunta gradualmente, a mano a mano che le sferette si aprivano, riversando il loro contenuto direttamente all'interno delle cellule.
Effettivamente la tossicità in questo modo era più controllata ma pur sempre rivolta a tutte le cellule indistintamente. I liposomi inoltre venivano presto riconosciuti come estranei dal sistema immunitario ed eliminati prima che potessero portare a termine la loro opera.
Il passo successivo sembra aver avuto maggior successo: i liposomi sono stati rivestiti con una pellicola di polietilenglicole (PEG), una sostanza inerte che non allerta il sistema immunitario. In questo modo i liposomi pegilati possono circolare liberamente senza venire distrutti: restano nel sangue per 2-3 settimane senza aprirsi e gradualmente entrano nelle cellule cancerose passando dalle fenestrature dei capillari del tumore. I capillari neoformati per irrorare le aree tumorali, infatti, sono più permeabili rispetto a quelli dei tessuti sani, perciò favoriscono una sorta di accumulo dei liposomi nel tessuto neoplastico. Proprio nel microambiente tumorale il liposoma rilascia il principio attivo, la doxorubicina, che così può svolgere la sua azione tossica sulle cellule cancerose.

I risultati

Con il liposoma pegilato calano drasticamente gli effetti avversi propri della doxorubicina convenzionale: gli eventi cardiaci scendono dal 18,8% al 3,9%; l'alopecia passa dal 54% al 7%; la nausea dal 53% al 37%; il vomito dal 31% al 19%; la neutropenia (tossicità sul midollo osseo) dal 10% al 4%. L'efficacia resta invariata ma migliora la qualità di vita dei pazienti e delle pazienti. La nuova formulazione, infatti, è stata testata su due tumori femminili, il carcinoma dell'ovaio e quello della mammella, entrambi in fase avanzata (metastatica), con risultati incoraggianti. In futuro si studierà anche la possibilità di impiegare il pegilato come trattamento di prima linea, cioè per la chemioterapia che segue l'intervento chirurgico.
Unico punto a sfavore, per ora, l'eritrodisestesia palmo-plantare o sindrome mano-piede. Si tratta di un effetto collaterale che non si è riusciti a controllare e causa eritema e desquamazione delle mani e dei piedi, contenibile però con semplici precauzioni.

Elisa Lucchesini

Riferimenti bibliografici:
  • Conferenza Stampa Schering Plough Milano, 14 aprile 2003
  • Gordon AN et al. Recurrent Epithelial Ovarian Carcinoma: A Randomized Phase III Study of Pegylated Liposomal Doxorubicin Versus Topotecan. J Clin Oncol 2001; 19:3312-3322
  • Wigler N et al. Reduced cardiac toxicity and comparable efficacy in a phase III trial of pegylated liposomal doxorubicin (Caelyx/Doxil) vs. doxorubicin for first-line treatment of metastatic breast cancer. ASCO 177a; 2002



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