Cure, ma non risolutive

30 maggio 2003
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Cure, ma non risolutive



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Le scelte per il trattamento del carcinoma polmonare incontrano varie possibilità terapeutiche, singole o combinate, ma nessuna di queste è finora in grado di migliorare la sopravvivenza media oltre i 5 anni dalla diagnosi.
Il piano terapeutico viene elaborato sulla base di molteplici fattori tra cui le condizioni generali del paziente, il tipo e le dimensioni del tumore, il suo stadio di sviluppo e diffusione (metastasi). Le opzioni terapeutiche più conosciute sono la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia ma da alcuni anni si parla anche di terapia genica e di inibitori cellulari.

Un bisturi nel polmone


La chirurgia è la migliore opportunità di cura, quasi sempre possibile, nei casi di tumore a piccole cellule in stadio I e II. L'obiettivo è la rimozione della massa tumorale e la procedura consiste nell'asportare un lobo del polmone, lobectomia, oppure l'intero polmone, pneumonectomia, se, invece, si interviene solo su una porzione del lobo si esegue una resezione a cuneo.
L'operazione necessita l'anestesia generale, prevede un'incisione del torace (toracotomia) e delle costole e un periodo di limitata attività di almeno uno o due mesi. Se non ci sono altre patologie polmonari, nonostante la mancanza di un lobo o di un polmone non ci sono difficoltà nel riprendere le normali attività. Si può ricorrere alla chirurgia anche quando il tumore si è diffuso in altri organi: le metastasi cerebrali, per esempio, possono essere rimosse praticando una craniotomia, un vero e proprio foro nel cranio attraverso il quale asportare la massa cancerosa. Nel caso di tumori di piccole dimensioni, 4-5cm, si può procedere con la chirurgia endoscopica inserendo il dispositivo di ripresa e gli strumenti nella cavità toracica attraverso piccole incisioni.
La sopravvivenza a 5 anni è del 90% se lo stadio è Ia, del 50% se è IIa, ma scende al 60% per lo stadio Ib e al 30-40% per lo stadio IIb. Per alcuni casi di tumore in stadio III si può scegliere la chirurgia in alternativa alla radioterapia, dopo cicli di chemioterapia. La sopravvivenza a 5 anni è però molto bassa, 10-30%, ma può migliorare con la combinazione di trattamenti.

Farmaci in vena


La chemioterapia è spesso il trattamento di scelta per gli altri stadi del carcinoma non a piccole cellule e per quello a piccole cellule, e rientra come adiuvante nel piano di trattamento del paziente. Solitamente due o più farmaci antitumorali, la cui scelta dipende ancora una volta dal tipo di tumore, vengono somministrati per via orale o endovenosa e raggiungono attraverso il flusso sanguigno tutti i distretti corporei. I vantaggi della chemioterapia si esprimono soprattutto nei casi in cui il tumore si è diffuso e ha metastatizzato altri organi oltre al polmone. Il cocktail di farmaci aggredisce le cellule tumorali ma può anche danneggiare le cellule sane, provocando effetti collaterali come perdita di capelli, inappetenza, nausea, vomito. Inoltre, poiché può anche raggiungere le cellule emopoietiche del midollo osseo (quelle che "producono" il sangue) si assiste a un calo della quantità di cellule del sangue, globuli bianchi, rossi e piastrine, e quindi a un aumento delle infezioni, a comparsa di difficoltà della coagulazione e al presentarsi di quella particolare spossatezza denominta fatigue. Alcuni effetti collaterali, comunque, tendono a scomparire dopo pochi giorni dal termine del trattamento.

Radiazioni curative e palliative

Per uccidere le cellule tumorali la radioterapia sfrutta l'elevata energia contenuta nelle radiazioni. E' un trattamento di base che viene eseguito, in combinazione con la chemioterapia, su carcinomi polmonari primari, quando le condizioni del paziente non permettono di procedere con la chirurgia oppure prima e/o dopo la rimozione chirurgica stessa, per eliminare i residui cancerosi più piccoli eventualmente sfuggiti al bisturi.
La radiazione viene proiettata verso la massa tumorale seguendo una mappatura segnata con l'inchiostro sulla pelle (centraggio) che individua esattamente l'area verso la quale orientare il campo di irradiazione. In alternativa, se ritenuto opportuno, si può scegliere la brachiterapia endobronchiale, che consiste nell'inserimento nel polmone, attraverso un sottile catetere, di una piccola quantità di materiale radioattivo, che emette, cioè, radiazioni.
Ma la radioterapia può essere adottata come cura palliativa per alleviare i sintomi causati direttamente dal tumore polmonare (dolore, sanguinamento, deglutizione difficoltosa) o da metastasi cerebrali. Si procede in questa direzione quando il tumore non a piccole cellule è in fase IV e la sopravvivenza a uno o due anni dipende solo dalla risposta al trattamento mentre a cinque anni è piuttosto rara.

Terapia di luce

La sperimentazione della terapia fotodinamica, sui pazienti con carcinoma polmonare risale agli anni '80, quando iniziò a mostrare risultati positivi. Si basa sull'impiego di sostanze che, iniettate endovena, vengono assorbite dalle cellule, ma mentre quelle normali le rilasciano velocemente, nelle cellule neoplastiche rimangono per più tempo. La sostanza uccide le cellule dentro cui si trova solo se attivata dalla luce laser. Il raggio laser viene quindi portato in prossimità della massa tumorale tramite una fibra ottica infilata nel broncoscopio, a sua volta inserito nel polmone attraverso la cavità orale. La tecnica viene usata per trattare tumori polmonari localizzati e raggiungibili per via endoscopica e richiede una particolare attenzione, nei giorni successivi, nell'evitare l'esposizione ad altre fonti di luce.

Ultime dal fronte

La ricerca, comunque, visti anche i non soddisfacenti risultati in termini di sopravvivenza, non si è ancora fermata. Sono infatti recenti le scoperte di mutazioni causative e di recettori che attivano la proliferazione incontrollata delle cellule.
Il sospetto che la mutazione p-53 fosse coinvolta nel carcinoma polmonare è stato sollevato agli inizi degli anni '90: più del 50% dei pazienti ce l'aveva. Il p-53 è un oncogene soppressore che codifica per una proteina che interviene quando si verificano danni al DNA e attiva almeno uno di due percorsi che portano o alla morte o al blocco della moltiplicazione delle cellule in cui il DNA è danneggiato. Se il gene p-53 è mutato, decade questo controllo e si sviluppa il tumore. Un recente studio (2002) ha verificato che trasferendo la versione sana del p-53, usando come vettore un adenovirus, si ottiene una regressione del tumore, anche se non in combinazione con chemioterapia o radioterapia.
L'altro meccanismo cellulare indagato è l'attività di un recettore cellulare, il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), che trasmette messaggi intracellulari che inducono la proliferazione cellulare. Nelle cellule maligne l'EGFR è espresso in eccesso e quindi la proliferazione cellulare aumenta dando origine alla massa tumorale. Una nuova generazione di farmaci di recente introduzione agisce in questa direzione: inibiscono una parte del recettore e, almeno nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule, hanno dimostrato di essere efficaci agenti antitumorali.

Simona Zazzetta



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