Più aggressivi con l'artrite

04 giugno 2003
Aggiornamenti e focus

Più aggressivi con l'artrite



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Il decennio 2000-2010 è stato dedicato dall'OMS alle patologie delle ossa e delle articolazioni e la regione Toscana è la prima in Italia ad avere incluso nel suo piano sanitario un progetto integrato per la cura dei pazienti con artrite reumatoide. Non è un caso, perciò, che proprio in Toscana si siano riuniti pazienti e specialisti per concordare nuove strategie.
Dal mondo clinico, rappresentato dai professori Roberto Marcolongo, Gianfranco Ferraccioli e Alessandro Ciocci, emerge una dichiarazione unanime: la malattia si può controllare e gli esiti invalidanti si possono contenere, a condizione che la diagnosi sia precoce e venga rapidamente seguita da una terapia adeguata, il che vuol dire passare dalle manifestazioni cliniche all'avvio delle cure nell'arco di 4-6 mesi, mentre oggi il percorso cui il paziente è costretto può richiedere anche anni.
Per la diagnosi spesso non bastano le linee guida internazionali, perché l'artrite reumatoide può esordire anche con sintomi aspecifici. Malessere generale, astenia, febbricola, anoressia, artromialgie (dolori alle articolazioni e ai muscoli), rigidità mattutina devono insospettire il medico di famiglia. In assenza di altre cause, così come in presenza di sintomatologia specifica ma riferibile ad una sola articolazione, deve nascere un ragionevole dubbio: ulteriori accertamenti e la visita del reumatologo potranno chiarire in tempo la situazione.
Tutti d'accordo, gli esperti presenti, anche sulla terapia farmacologica: i farmaci di fondo vanno iniziati subito e il trattamento deve essere aggressivo, anche se la sintomatologia non appare severa. Nella maggior parte dei casi, infatti, le lesioni più gravi si formano nei primi 2-5 anni e non sono reversibili, perciò occorre arrestare il processo non appena ottenuta la diagnosi. I farmaci di fondo, vecchi e nuovi, si utilizzano insieme, 2 o 3 o 4 per volta, per aumentare le possibilità di successo. Ciò significa che non esiste una terapia valida per tutti: i medicinali si cambiano in base alla risposta del paziente e, soprattutto, almeno ogni 3 mesi bisogna testare l'evoluzione della malattia e aggiornare le cure di conseguenza.
Gli interventi possibili non si fermano alla farmacologia. Laddove la compromissione di una o più articolazioni sia tale da richiederlo, la chirurgia può intervenire applicando protesi, anche in pazienti molto giovani. La novità è proprio qui: in questi pazienti non ha senso rimandare di anni un intervento capace di restituire una certa funzionalità e, quindi, una qualità di vita migliore. Certo si corre sempre il rischio del rigetto della protesi, dopo 10 o 20 anni, ma intanto il malato ha potuto trascorrere una vita quasi normale. Ultima, ma non in ordine di priorità, la terapia riabilitativa che, nei casi ad esordio particolarmente acuto, andrebbe iniziata precocemente a scopo preventivo. Occorre formare fisiokinesiterapisti con tecniche specifiche, volte a conservare il tono muscolare, mantenere la mobilità articolare, economizzare le articolazioni colpite. In pratica si tratta d'insegnare al paziente a evitare quei gesti quotidiani che sollecitano ulteriori lesioni, compiendo con movimenti alternativi le medesime azioni.

Elisa Lucchesini



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