Ossa che sanguinano

13 aprile 2007
Aggiornamenti e focus

Ossa che sanguinano



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“Negli ultimi anni si è registrato un costante incremento dell’attività chirurgica sui pazienti affetti da artropatia emofilica, sia grazie allo sviluppo di tecniche chirurgiche che consentono risultati migliori e una minore incidenza di complicanze sia per una aumentata (e forse conseguente) richiesta da parte dell’emofilico stesso di migliorare la propria qualità di vita”. Si esprimeva così, a margine di un recente congresso sull’argomento, Pier Luigi Solimeno, responsabile del centro per la cura dell’artropatia emofilica “M.G. Gatti Randi” di Milano. Ma il discorso è perfettamente valido ancora ed è stato ribadito dallo stesso medico nella conferenza stampa di presentazione della Giornata Mondiale dell’Emofilia, una malattia rara e genetica che colpisce oltre 600000 persone nel mondo, di cui 7000 in Italia. E l’artropatia, tra gli emofilici, è un fenomeno piuttosto comune, al punto che l’imminente il X Congresso Mondiale Muscolo-Scheletrico, sarà un’importante occasione per coagulare l’attività e le conoscenze di ematologi, chirurghi ortopedici, fisiatri e fisioterapisti, coinvolti nella gestione diagnostica e terapeutica del paziente emofilico. Ma come si passa da un difetto della coagulazione a un danno articolare?

Artropatia emofilia ovvero…


La manifestazione clinica principale è l’emartro, cioè un sanguinamento articolare spontaneo o secondario a traumi di lieve entità. Maggiormente colpite risultano le ginocchia, i gomiti e le tibiotarsiche rispetto alle altre articolazioni. Il ripetersi di questi episodi emorragici determina un’infiammazione del tessuto sinoviale, la cosiddetta sinovite reattiva. E’ a questo punto che questo processo infiammatorio, dapprima acuto poi cronico, favorisce l’instaurarsi di una degenerazione cronica e progressiva di tutte le strutture articolari, l’artropatia appunto. Come non bastasse, nei pazienti emofilici compaiono anche ematomi muscolari, che complicano il quadro clinico. A questo punto diventa centrale la figura dell’ortopedico nel tentativo di bloccare un processo che appare inevitabile. Le manifestazioni dell’emartro acuto sono pesanti e vanno dalla comparsa di dolore alla tumefazione, fino a una limitazione funzionale assoluta. L’articolazione, per esempio, è spesso mantenuta in atteggiamento di flessione per ridurre il dolore. L’artropatia rappresenta l’evoluzione finale della malattia con grave ipotrofia muscolare, deviazioni assiali, dolore e limitazione funzionale. E l’intervento?

Come intervenire


Non c’è solo la protesi, va detto, l’ortopedico cioè, laddove è possibile, deve prevenire le deformità irreversibili degli stadi avanzati della patologia. A questo scopo possono essere utili sia una disciplina sportiva a basso impatto sia un programma fisiokinesiterapico costante. Ma esiste anche la possibilità di drenare l’emartro per cercare di salvaguardare l’articolazione interessata. Quanto agli interventi chirurgici veri e propri, si va dal trattamento artroscopico, sinoviectomia, che deve essere considerato come preventivo, in considerazione dell’eliminazione della sinovia, che svolge un ruolo di mantenimento dello stato infiammatorio intrarticolare, al trattamento condroprotettivo, realizzato con iniezioni intra-articolari di acido ialuronico ad alto peso molecolare. Infine la protesizzazione che, citando un recente studio dello stesso Solimeno, è il trattamento di scelta per l’artropatia emofilica cronica di anca e ginocchio sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo. Il problema si fa più grave nei soggetti emofilici cosiddetti con inibitori. Nel 15-25% circa degli emofilici l'organismo, infatti, riconosce il fattore della coagulazione, somministrato a scopo terapeutico, come estraneo e sviluppa anticorpi contro il fattore stesso. Questi anticorpi vengono definiti "inibitori” in quanto si combinano con il fattore della coagulazione e ne inibiscono l'azione, annullandola. In questi casi la chirurgia è limitata a pochi centri e a pochi pazienti, in considerazione dell’aumentato rischio di sanguinamento. Un altro problema poi è quello dei costi, particolarmente elevati per questo tipo di chirurgia. L’obiettivo è quello di arrivare presto a poter assicurare diffusamente questo tipo di intervento a pazienti emofilici con o senza inibitori. Un obiettivo raggiungibile.

Marco Malagutti



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