Rischio suicidio da non sottovalutare

05 dicembre 2008
Aggiornamenti e focus

Rischio suicidio da non sottovalutare



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Chi tenta il suicidio una prima volta, senza successo, a volte ci riprova. Non tutti sono a rischio recidiva, però, e questo è particolarmente vero per chi soffre di certe malattie psichiatriche.
Sapere quali sono le caratteristiche che permettono di individuare i soggetti più a rischio è utile per istituire nell'immediato il percorso di cura/assistenza più adeguato, e anche per istituire o implementare politiche sanitarie ad hoc.
Queste informazioni sono emerse da uno studio durato 30 anni, raccolte, analizzate e pubblicate sul British Medical journal. Lo studio si è svolto in Svezia e la premessa è d'obbligo, per almeno due motivi, scientificamente rilevanti: la popolazione svedese può essere rappresentativa degli abitanti del nord Europa, non di tutti gli occidentali in genere; i dati raccolti sono però assolutamente rilevanti per la numerosità del campione (39.685) e la precisione e completezza indiscutibili dei registri svedesi (dal 1973 al 2003).

La metodologia dello studio


Sono stati inseriti nello studio i soggetti, d'età superiore ai 10 anni, che erano stati ricoverati in ospedale tra il 1973 e il 1982 per un tentato suicidio, secondo quanto riportato nei documenti di dimissione. I pazienti scelti per l'indagine venivano dimessi anche con una nuova diagnosi di malattia psichiatrica, tra schizofrenia, disordine bipolare e unipolare, disordine depressivo, disordine d'ansia, disordine adattativo, alcolismo, dipendenza da droghe, disordine di personalità, oppure non avevano ricevuto una diagnosi psichiatrica fino a un anno dopo il ricovero. Questi ultimi soggetti, che rappresentano la maggioranza (il 68%) della coorte studiata sono serviti come gruppo di riferimento. La scelta delle caratteristiche di comorbidità psichiatrica è stata possibile perché i criteri diagnostici in Svezia erano ben definiti nel 1973 e non sono stati modificati nei 10 anni successivi. Analogamente il registro dei decessi, e delle cause di morte, copre il 99% delle morti di cittadini residenti in Svezia, anche quando avvengono fuori dai confini nazionali, perciò è stato possibile individuare quanti avessero ritentato il suicidio, quando e con quale esito.

Dall'idea alla pratica


La maggioranza dei suicidi portati a termine si sono verificati entro 5 anni dal primo tentativo, con una particolare concentrazione degli atti nel corso del primo anno, per tutti i sottogruppi di pazienti analizzati. Nei pazienti con schizofrenia o disordine bipolare/unipolare il rischio di un secondo tentavo di suicidio era decisamente più elevato, rispetto agli altri gruppi, per tutta la durata del follow up. In particolare il primo anno si sono verificati il 64% dei suicidi maschili e il 42% di quelli femminili nei pazienti con diagnosi bipolare/unipolare e, rispettivamente, il 56% e 54% dei casi nei soggetti schizofrenici. Il primo anno è comunque il periodo più critico, infatti osservando il paragone con il gruppo di riferimento (soggetti senza malattia psichiatrica) il tasso di suicidi è stato del 45% negli uomini e del 40% nelle donne.
Dal punto di vista del rischio relativo (calcolato in rapporto al rischio dei soggetti di riferimento) i soggetti più esposti sono i maschi affetti da schizofrenia (RR 4,1) e le femmine con disordine bipolare/unipolare (RR 2,5). Secondo un altro tipo di calcolo, invece, il PAF (population attributable fractions), cioè il coefficiente che indica il peso di un certo fattore (la malattia psichiatrica in questo caso) sulla popolazione generale, i soggetti più vulnerabili sarebbero le donne con forme depressive (9,3), gli uomini con schizofrenia (4,6), donne e uomini (4,1 e 4,0) con disordine bipolare e unipolare.
Indipendentemente dai distinguo di natura statistica, si può concludere che i pazienti che hanno già tentato il suicidio una prima volta e sono affetti da un disturbo psichiatrico andrebbero attentamente seguiti, per evitare il ripetersi del gesto. Eventualità piuttosto probabile anche nella popolazione sana ma già reduce da un primo tentativo suicidario. La differenza più che nella probabilità che l'evento si ripeta sta nelle modalità di assistenza: più concentrate sulla cura e il controllo della patologia sottostante nel primo caso, più generali nel secondo caso.

Elisabetta Lucchesini



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