La dialettica vince il bordeline

23 luglio 2004
Aggiornamenti e focus

La dialettica vince il bordeline



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Non tutte le malattie e i disturbi mentali sono facili da curare, soprattutto quando i farmaci non sono la terapia di eccellenza e la stessa patologia non è inquadrabile in una categoria del DMS IV (il manuale di diagnostica). Proprio per questo gruppo di pazienti è stato introdotto nel manuale la definizione di disturbi borderline della personalità. Generalmente sono persone emotivamente vulnerabili che reagiscono in modo eccessivo agli stimoli ambientali e già a bassi livelli di stress, e persino quando lo stress viene rimosso, impiegano molto tempo per rientrare nella normalità. Alcuni specialisti hanno individuato nell'ambiente in cui questi soggetti sono cresciuti degli aspetti invalidanti, in cui le esperienze e le risposte personali del bambino in crescita sono state sminuite. I pazienti borderline sono spesso gravemente autodistruttivi e autolesionisti fino al tentativo di suicidio. In fase di psicoterapia spesso riescono a manipolare il terapeuta, possono essere imprevedibili e gelidamente muti. Possono logorare il terapeuta e mettere alla prova la pazienza di amici e familiari. Non sono ancora note cause biologiche, anche se in alcuni casi i farmaci risultano stabilizzanti; alcuni ricercatori stanno, infatti, indagando sul ruolo dell'amigdala.

Accettare prima di tutto


Nella maggior parte dei casi si tratta di donne e di questo sottogruppo di pazienti si è occupata la dottoressa Marsha Linehan che ha elaborato negli anni di lavoro un nuovo tipo di approccio oggi riconosciuto come tecnica e adottato in Australia, Stati Uniti, Germania e Inghilterra.
Linehan ha sviluppato la terapia comportamentale dialettica, che, a differenza delle altre, ha un approccio provocatorio, prevede una certa durezza da parte del terapeuta ed esclude l'uso di farmaci.
Il trattamento consta di una fase iniziale che porta il paziente ad accettare se stesso per ciò che è ad accettare di non poter essere ciò che si vuole. E per quanto orribile sia stata l'infanzia deve accettare di non poter tornare indietro per modificarla. Nel frattempo il terapeuta deve comprendere se i comportamenti autolesionistici sono reali e riconoscere che sono una risposta a una sofferenza profonda e che, per quanto disfunzionali, offrono al paziente un sollievo. L'atteggiamento dell'operatore diventa provocatorio in quanto egli dichiara al paziente che in effetti tali comportamenti sono un buon modo per affrontare le difficoltà. A questo punto il paziente ha solo due scelte, cambiare o restare infelice. Questo è il momento critico della terapia in cui il terapeuta stabilisce, in accordo con il paziente, che la priorità è rimanere in vita, non danneggiare se stessi e non tentare il suicidio, indipendentemente dall'andamento dell'umore. Se il paziente aderisce alla proposta e si impegna, il terapista dialettico spiega perché è necessario che il paziente modifichi il proprio comportamento e la terapia procede in senso collaborativo.

Cambiare per vivere meglio


Una delle prime cose che il paziente apprende è notare quando le emozioni cominciano a muoversi, percepire la tempesta emotiva che si scatena e quindi lasciarla passare senza fare niente: una sorta di osservazione Zen di se stessi.
E' dopo essersi impegnati a cambiare e a dimostrare la capacità di resistere alle tempeste emotive che le persone possono acquisire abilità sociali e comportamentali che hanno dato prova di essere efficaci nel combattere le depressione, l'ansia e altre forme di stress psichico.
L'approccio comportamentale dialettico prevede anche che, in caso di "scivoloni" in cui il soggetto si sente al limite di compiere un atto lesivo verso se stesso, si debba chiamare il terapeuta e poi, durante la sessione ripercorrere l'evento. Il paziente infatti dovrà ricostruire momento per momento la narrazione distaccata e neutrale, nonostante la rabbia o la vergogna, degli eventi che lo hanno portato a avvertire la disperazione o la sofferenza.
Infine, un altro aspetto importante della terapia è non rinforzare i comportamenti autolesionisti. In questo caso anche il ricovero ospedaliero può rappresentare più di una semplice cura e in alcuni casi, se possibile, il terapeuta chiede che venga negata al paziente l'ospedalizzazione o che quanto meno non sia resa piacevole.
Non sono ancora chiari i motivi per cui la terapia dialettica funzioni e cosa realmente modifichi i comportamenti del paziente, un fattore di riconosciuta importanza è il carisma dell'operatore come pure una forte motivazione di chi prende in carico il paziente.

Simona Zazzetta



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