Cuori rosa più esposti

23 maggio 2008
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Chi frequenta le cronache nazionali sente sempre parlare di particolato e di PM10, soprattutto nei comunicati ufficiali del governo nazionale e locale. Peccato, però, che chi si occupa degli effetti dell'inquinamento sulla salute ragioni ormai in termini di PM 2,5, cioè di particelle quattro volte più piccole e più pericolose in proporzione. Questa la prima osservazione che viene dalla lettura di uno studio statunitense, dedicato agli effetti dell'esposizione a lungo termine alle polveri sottili. Lo studio è stato condotto sulla popolazione femminile, un campione di poco meno di 66000 donne in post-menopausa che risiedevano in 36 diverse aree metropolitane; in pratica sfruttava il campione selezionato per un'altra ricerca, il Women's Health Initiative. Le donne selezionate non presentavano malattie cardiovascolari, tanto meno precedenti di infarto o ictus, e sono state tenute sotto controllo per un lungo periodo (almeno la metà per sei anni e più), valutando i livelli di inquinamento da PM2,5 registrati dalla centralina più vicina alla loro abitazione.

Centraline di quartiere


Lo scopo era mettere in relazione con i livelli di esposizione la comparsa del primo evento cardiovascolare, infarto o ictus, e la mortalità per malattia cardiovascolare. Al termine dello studio, 1816 donne in precedenza sane, si badi, avevano avuto uno più eventi mortali e non. Quanto al rapporto con l'esposizione al particolato, per ogni aumento di 10 microgrammi per metro cubo si aveva un aumento del 24% del rischio di un primo episodio cardiovascolare (ictus, infarto, necessità di ricorrere all'angioplastica eccetera) ma, soprattutto, i livelli più elevati di PM2,5 agivano sulla mortalità per malattia cardiovascolare: ogni 10 mcg si aveva un aumento del 76%. Anche per l'ictus si aveva una tendenza analoga. Inutile aggiungere che l'effetto statistico si manteneva anche quando si faceva la tara di eventuali condizioni predisponenti individuali: la pressione arteriosa o la colesterolemia elevate, per esempio. L'unico fattore che aggravava l'azione delle micropolveri era l'obesità: quanto maggior erano l'indice di massa corporea o il giro vita, tanto più cospicuo era il rischio. Le ragioni di questo effetto, per la verità, non sono chiare: si dice che le micropolveri potrebbero favorire la rottura della placca aterosclerotica, tanto nelle coronarie come nelle arterie cerebrali, provocando trombi, così come si è osservato che ad alti livelli di inquinanti, nella popolazione esposta si nota un ispessimento delle carotidi (le arterie che alimentano il cervello).

Che cosa val la pena misurare?


Questo il dato centrale, ma lo studio riporta altre conclusioni interessanti. Per esempio, le differenze tra una città e l'altra contavano assai meno delle differenze di concentrazione tra un'area e l'altra della medesima città. Probabilmente questo può anche essere imputato a differenze nei criteri di misurazione adottati dalle diverse amministrazioni. I dati conclusivi, poi, sono peggiori di quelli segnalati da altri studi, dove il rischio appariva più basso. Questa circostanza può essere spiegata dal fatto che negli altri studi erano compresi anche gli uomini, che parrebbero un po' più resistenti delle donne all'azione delle micropolveri. Infine un dato stupefacente se paragonato con quelli europei. Le concentrazioni di PM2,5 registrate nelle 36 aree metropolitane coinvolte nello studio variavano, nel 2000, da 3.4 to 28.3 mcg per metro cubo, con una media di 13,5; si tratta di valori davvero molto bassi se paragonati a quelli di cui si parla in Europa. Ma non esistono soltanto queste micro polveri: tra il PM 2,5 e il PM 10 vi sono particolati di dimensioni intermedie, che differiscono anche per la composizione, infatti mentre le polveri più fini sono il prodotto della combustione nella maggior parte dei casi, quelle intermedie sono il risultato di procedimenti meccanici, come la sabbiatura o l'erosione del vento (silicio, per esempio). Inoltre cambia la loro natura in funzione del luogo: un conto sono i grandi centri urbani, un altro le zone agricole. Uno studio recentissimo ha cercato di valutare anche l'impatto di questo particolato intermedio, valutando la correlazione con i ricoveri per cause cardiovascolari e respiratorie. In realtà questo particolato chiamato PM 2,5-10 non sembra esercitare un effetto indipendente rispetto al PM 2,5, ragione per cui viene confermata la pericolosità di quest'ultimo. Infatti anche in questo caso i ricoveri, nei giorni di aumento dell'inquinamento, salivano dello 0,36% che, quando si parla di una popolazione di 12 milioni di abitanti, ha un suo peso sanitario. Però, appunto, sempre delle polveri più sottili si tratta, perché le altre micropolveri, cioè il PM10, per cominciare, non avevano effetti statisticamente significativi. Forse è il caso di cominciare a misurare il PM 2,5 anche in Italia...

Maurizio Imperiali



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