TBC: vecchio male dimenticato

20 giugno 2008
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TBC: vecchio male dimenticato



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Di nuove malattie non c'è bisogno: si riesce a farsi male ancora con quelle vecchissime, quasi da archeologia della medicina. E' il caso della tubercolosi. E' vero, nell'Ottocento una persona su sette moriva di questa infezione e quindi era praticamente un flagello biblico. Ma anche oggi la situazione non è allegra e ogni 10 secondi una persona muore di TBC. E' chiaro che questo non avviene nei paesi industrializzati, dove incidenza e prevalenza sono più basse, ma facendo la media il risultato è questo. D'altra parte questo non significa che la TBC sia assente nei paesi "ricchi".
Soprattutto con l'aumento delle sacche di emarginazione e povertà, con l'aumento dell'immigrazione e con il diffondersi dell'epidemia da HIV, la tubercolosi riprende il sopravvento. A volte è semplicemente una questione di misure sanitarie, come dimostra il caso degli Stati Uniti. A causa dell'interruzione delle misure di controllo e prevenzione, la TBC ha conosciuto un repentino aumento dei casi: il 20% in più tra il 1985 e il 1992. Insomma, abbassare la guardia è pericoloso, così come lasciare che si creino serbatoi dell'infezione per quanto apparentemente isolati.

Un batterio onnipresente?


La tubercolosi è provocata da un particolare microrganismo chiamato Mycobacterium tuberculosis. La trasmissione del micobatterio avviene per via aerea, vale a dire che se la persona infetta tossisce può disperdere nell'aria un specie aerosol carico di germi. La trasmissione è quindi piuttosto efficiente, ma il contagio non sempre dà luogo alla malattia. Il germe può restare inattivo nell'organismo molto a lungo, e approfittare di qualsiasi indebolimento delle difese immunitarie per prendere il sopravvento. Infatti si è stimato che nelle persone colpite da HIV la possibilità di andare incontro alla TBC è 800 volte superiore a quella media.
Sempre secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, oggi le persone contagiate dal Mycobacterium tuberculosis sono due miliardi, e di queste il 10-15% svilupperà la malattia.

Un trivella nei polmoni


Tecnicamente, la TBC è un'infezione necrotizzante che cioè porta alla distruzione del tessuto polmonare e si parla di lesioni cavernose perché l'effetto, alla lastra, è quello di un vero e proprio "buco" nel polmone. Accanto alle lesioni cavernose si possono presentare anche lesioni chiuse, che alla radiografia hanno l'aspetto di noduli. Le lesioni si localizzano prevalentemente agli apici dei polmoni, ma non esclusivamente lì. Inoltre, il germe è presente in due forme. La prima è al di fuori delle cellule e si moltiplica rapidamente all'interno del liquido che si forma sulla parete della lesione cavernosa; la seconda forma (intracellulare) si annida all'interno dei macrofagi, che sono cellule del sistema immunitario o all'interno di lesioni chiuse, si moltiplica meno rapidamente oppure solo in alcuni momenti. Questa particolarità non è priva di effetti sulla cura, come si vedrà.

La diagnosi della TBC

Quando la TBC era estremamente diffusa, il medico pensava subito a questa malattia ogni volta che c'erano sintomi di sofferenza respiratoria: tosse, crepitazioni durante l'inspirazione, segni di versamento pleurico. Oggi molto più raramente il medico pensa alla tubercolosi. D'altra parte i sintomi possono anche essere poco evidenti anche quando si sono già create lesioni importanti. Quindi la lastra del torace diventa un esame di capitale importanza per determinare la presenza e la gravità della malattia, anche se la conferma della diagnosi viene soltanto dall'isolamento del micobatterio nelle secrezioni bronchiali (escreato o sputo, insomma) o dai tessuti polmonari. L'esame colturale comunque richiede tempo, due-tre settimane.

Un germe coriaceo

Sconfiggere il micobatterio non è stato semplice e sostanzialmente i primi successi sono coincisi con l'arrivo della streptomicina (uno dei primi antibiotici) negli anni quaranta. Peccato che rapidamente il germe è diventato resistente a questo farmaco. Fortunatamente nel decennio successivo arrivò l'isoniazide, seguita dalla rifampicina che oggi rimangono i due farmaci di prima scelta. Viste le caratteristiche del germe, è sempre necessario associare almeno due farmaci, di solito isoniazide e rifampicina, per garantirsi l'eliminazione dall'organismo di entrambe le forme del germe (intracellulare ed extracellulare). Ovviamente le resistenze ci sono ancora e, anzi, il M. tuberculosis è piuttosto bravo nel difendersi, tanto è vero che basta interrompere prematuramente la terapia per avere ceppi resistenti a uno e anche più farmaci. Non a caso, quando si verificano riprese del contagio si nota sempre un'elevata quota di germi resistenti. La tendenza all'aumento delle resistenze non riguarda soltanto paesi remoti: l'aumento piccolo ma significativo si registra anche in Germania o Danimarca, per esempio. In questi casi è necessario usare anche tre-quattro farmaci insieme e i costi economici della terapia aumentano spropositatamente. E' stato calcolato che curare un paziente affetto da TBC multiresistente può richiedere anche un milione di dollari.

Una strategia semplice

La risposta a questa situazione si chiama DOTS, Directly Observed Treatment Short-course, una formula coniata dall'OMS. Un trattamento rapido, attuato subito dopo aver identificato nell'escreato il micobatterio, condotto per 6-8 mesi sotto diretta osservazione del medico. In questo modo c'è la certezza che il farmaco di prima scelta abbia modo di esercitare il suo effetto, perché per ogni somministrazione saltata si riduce la possibilità di eradicare il germe. Certamente è una strategia che è indispensabile nei paesi in via di sviluppo, ma che è indispensabile anche qui quando si ha a che fare con pazienti che non è detto siano in grado di rispettare le prescrizioni (tossicodipendenti, immigrati clandestini, per esempio).

Maurizio Imperiali



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