Dove non arriva il servizio pubblico

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Dove non arriva il servizio pubblico



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Il Servizio Sanitario Nazionale, così come lo conosciamo oggi, con un fondamentale carattere universalistico nasce nel 1978 con una riforma siglata dalla legge n° 883. Per la prima volta la sanità è definita come un insieme di misure di prevenzione, cura e riabilitazione, dando inizio al decentramento gestionale verso Regioni, Province e Comuni. Nascono, infatti, le Unità Sanitarie Locali, deputate alla gestione di ospedali e servizi sul territorio.
Con la riforma del 1993 (legge n° 92/93) si lascia al cittadino la possibilità di scegliere se curarsi presso una struttura pubblica o in una privata direttamente accreditata dal Servizio Sanitario Nazionale. Fino a questo punto, l'assistenza è teoricamente uguale in tutta Italia e, con qualche eccezione, copre tutte le possibili prestazioni sanitarie.

La sanità non è più una sola


Nel 1999 vengono introdotti i fondi integrativi o fondi doc, come opzione per il rimborso di spese non coperte per prestazioni erogate da strutture accreditate.
In questi ultimi mesi si assiste ad un'ulteriore innovazione del servizio sanitario, iniziata già nel 1992, con la definizione, nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni del 22 novembre 2001, dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che tutte le Regioni saranno obbligate a garantire ai cittadini. Ed è qui che si verifica una rottura consistente col passato: è vero che l'assistenza resta uguale in tutto il paese, ma limitatamente a un nucleo di prestazioni ritenute fondamentali e irrinunciabili; per il resto ciascuna regione provvederà autonomamente.
L'allineamento ai LEA e l'adeguamento strutturale e organizzativo da parte delle Regioni scade il 30 giugno 2002, per tale data dovranno essere chiare le scelte. Tutte le prestazioni non previste dai LEA costituiscono una spesa, un disavanzo rispetto agli stanziamenti del governo centrale, non garantita dal servizio nazionale e ogni Regione potrà decidere come gestirlo: non garantire più la prestazione, fissare ticket per la prestazione, imporre fiscalmente la spesa ai cittadini (aumentando l'aliquota IRPEF regionale), demandare ai cittadini la scelta (quindi come diritto e non come dovere) di versare un contributo per un'assicurazione integrativa.

Ognuno sceglierà la tutela che fa al caso suo?


In questo nuovo assetto il cittadino è libero di scegliere in che forma tutelarsi rispetto a ciò che il servizio sanitario regionale non garantisce; se appartiene ad una collettività, tipo associazioni di cittadini o di lavoratori, aziende, enti, ordine di professionisti, può accedere ai fondi integrativi, regolamentati dal Dlgs n° 229/99, e quindi tenuti ad adottare politiche di non selezione dei rischi (cioè non valutare se questo o quell'assistito può far spendere tanto o poco per le sue attuali condizioni di salute, per i fattori di rischio eccetera).
In ogni caso, può rivolgersi ai soggetti abilitati a fornire il servizio assicurativo: istituzioni non profit operanti in autonomia, imprese commerciali di assicurazioni, altri soggetti non profit come le società di mutuo soccorso.

Che cosa sono i fondi integrativi

I fondi integrativi, delineati già nel 1992, trovano nel Dlgs n° 229/1999 evidenziata la loro natura integrativa, complementare, rispetto al SSN; nello stesso testo si definisce anche l'ambito di applicazione: aree assistenziali aggiuntive escluse dai LEA gestite da strutture accreditate e copertura di quella parte di spese, a carico del cittadino, per le prestazioni incluse nei LEA e per le prestazioni sociosanitarie erogate in strutture residenziali o semiresidenziali accreditate o in forma domiciliare. Si intende, in pratica, visite e diagnostica ambulatoriale con scelta del medico, scelta dell'equipe chirurgica, camere a pagamento, purché erogate in regime di intra-moenia, cioè privatamente ma all'interno di strutture pubbliche.
Sono espressamente contemplate aree della medicina non convenzionale e alcune cure termali e odontoiatriche, limitatamente alle prestazioni non a carico del SSN.
Al termine integrativo si attribuisce, quindi, una duplice valenza: una garanzia per tutto ciò che non è competenza del servizio pubblico, e la copertura di oneri a carico dell'utente quali ticket, pagamento per prestazioni libero-professionali intramoenia e prestazioni di maggior comfort (la camera singola, il telefono eccetera).
E' evidente quindi una limitazione per i fondi integrativi di far riferimento a strutture e figure professionali del Servizio Sanitario Nazionale, carattere che li differenzia da quelli, per così dire "non-doc", finora esistiti in diversa forma, il cui intervento non coinvolge medici e professionisti dipendenti da SSN.

Chi finanzia e quanto si rimborsa

I fondi integrativi sono finanziati dalle risorse proprie degli assicurati e rimborsano in modo diretto o indiretto la spesa dell'assicurato, ma il fondo può decidere di modificare il tariffario e la percentuale di copertura secondo le esigenze degli assicurati, che mediamente non deve coincidere con la spesa intera compiuta dall'assicurato (se si spendono 50 euro, il rimborso sarà inferiore).
Questo scenario diventerà una realtà il 1° luglio 2002, data in cui tutte le Regioni dichiareranno la strada percorribile per i cittadini residenti nel loro territorio. La risposta dei cittadini è finora molteplice e trova voce nelle associazioni dei consumatori che in alcuni casi, per esempio l'Aduc, si fanno sostenitrici della liberalizzazione del mercato assicurativo per dare ampia scelta al cittadino, mentre altre, per esempio l'Adiconsum, spingono per un'assistenza di base garantita, erogata secondo criteri oggettivi, e una limitazione dell'assistenza integrativa solo a chi desidera avere un surplus.

Tutto sta a vedere che cos'è essenziale

Ciò che lascia perplessi alcuni è da un lato la definizione dell'essenzialità, che sarà un parametro importante per capire ciò che non sarà più considerato un diritto di base, ma quasi un lusso per chi deciderà di concederselo.
D'altro canto c'è da chiedersi come dovrà riorganizzarsi il mercato assicurativo, a questo punto non più italiano, ma regionale. In una realtà così diversificata la regione con copertura sanitaria minima, anzi "essenziale", non disposta a istituire fondi integrativi demanderà alle assicurazioni private la gestione del settore, mentre quest'ultime dovranno fare i conti, in termini di concorrenzialità, con i fondi integrativi laddove le Regioni decideranno di adottarli nella politica sanitaria.
Forse è una complicazione in più che, a conti fatti, potrebbe non modificare di molto ciò che gli italiani dovranno versare come contribuenti o come assicurati. Sempre che la coperta dei LEA non si riveli troppo corta.

Simona Zazzetta



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