Lesioni midollo spinale: difficile il recupero del segnale interrotto

13 maggio 2011
Aggiornamenti e focus

Lesioni midollo spinale: difficile il recupero del segnale interrotto



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Anno 2009, 215.405 incidenti, 4.237 persone decedute, 307.258 lesioni gravi. Non è un bollettino di guerra, ma i dati del rapporto Istat del novembre 2010 e gli incidenti sono quelli accaduti nelle strade italiane, soprattutto tra il venerdì e il sabato notte in cui si concentra circa il 45% dei casi. Le cause vanno cercate tra il mancato rispetto della segnaletica, la guida distratta, la velocità e il mancato rispetto della distanza di sicurezza. Tra le conseguenze più gravi, oltre la morte, le lesioni del midollo spinale: 1.100 nuovi casi ogni anno, per un totale di 120 mila persone sopravvissute e affette da questo tipo di lesioni. Delle problematiche annesse e delle possibili soluzioni di tali lesioni si è parlato, tra le altre cose, all'VIII Simposio internazionale focalizzato su Experimental spinal cord repair and regeneration, che si è tenuto a Brescia dal 9 al 14 maggio.

Paraplegia e tetraplegia rappresentano il risultato più comune di tali lesioni e consistono in una paralisi, rispettivamente, degli arti inferiori o superiori e inferiori, che costringono la persona a spostarsi con una carrozzella e a dipendere in gran parte dagli altri, familiari o chi li assiste. Infatti, oltre alla perdita dell'uso degli arti ci possono essere effetti negativi, più o meno gravi, anche sulle funzioni intestinali, sessuali e della vescica urinaria. Ciò che accade è che il trauma provoca, in un determinato punto della colonna vertebrale, una frattura ossea che interrompe la continuità del midollo spinale, interrompendo così anche la comunicazione nervosa tra il cervello e la parte di midollo sottostante. Questo vuol dire che i comandi volontari, che il cervello invia ai muscoli, non arrivano più a destinazione e le cellule nervose del midollo spinale, che stanno sotto la lesione, rimangono vive e funzionanti ma la loro funzione, involontaria e non controllata, si traduce in spasmi e contrazioni muscolari. La lesione avrà conseguenze più gravi tanto più è alta nella colonna vertebrale e quando colpisce a livello cervicale la paralisi interessa tutti e quattro gli arti, con interessamento più o meno parziale di altri organi e funzioni.

Purtroppo, non è possibile riparare una lesione del midollo spinale e gli interventi chirurgici che si attuano oggi permettono di immobilizzare la colonna ossea ma non risolvono la paralisi. «L'ostacolo che la ricerca scientifica deve cercare di superare» spiega Giorgio Brunelli, neurochirurgo della Fondazione Giorgio Brunelli per la ricerca sulle lesioni del midollo spinale E.S.C.R.I. Onlus «è rappresentato da un meccanismo del sistema nervoso centrale chiamato "non permissività". In pratica, una volta interrotta la continuità, il midollo spinale non permette agli assoni, i prolungamenti delle cellule motrici cerebrali, di discendere verso le cellule motrici del midollo e di attivarle». Questo significa che eseguendo un trapianto di nervi periferici (per esempio del nervo sciatico) nella zona lesionata del midollo, per quanto si formassero nuovi nervi dalle cellule cerebrali, la loro progressione veniva bloccata. «Questo blocco dipende da proteine ancora poco conosciute, ma molto studiate» prosegue Brunelli «ma è stato messo a punto un protocollo sperimentale che prevede l'innesto di un segmento di nervo nel midollo spinale soprastante la lesione che collega direttamente il midollo spinale ancora vitale al muscolo. In questo modo si scavalca la parte di midollo danneggiata e tutto il midollo sottostante, e le cellule muscolari ricevono lo stimolo proveniente dall'alto». L'efficacia della chirurgia non dipende solo dall'intervento, ma richiede un grosso sforzo postoperatorio e una lunga riabilitazione. Come spiega l'esperto, infatti: «Chi intraprende questo percorso deve sapere che dovrà fare una riabilitazione che dura per tutta la vita, che avrà bisogno del sostegno familiare, economico e di una ferrea forza di volontà, per non abbandonare gli esercizi quotidiani, e che, nonostante tutto questo, non otterrà mai il recupero totale. Ci sono pazienti che rifiutano fin dal principio e altri che dopo un inizio di recupero hanno abbandonato perché era troppo impegnativo». La scelta di intervenire si basa su una valutazione individuale del paziente ma i risultati per ora più validi sono stati ottenuti in pazienti giovani e con lesioni tra la 3° e la 10ma vertebra toracica. «Lesioni a questa altezza lasciano integra la funzione dei muscoli addominali che è molto importante per la riabilitazione. Per lesioni superiori alla 3° e inferiori alle 10-12ma bisogna valutare caso per caso. La scelta dipende dalla possibilità di recupero da parte del paziente» conclude Brunelli.

Simona Zazzetta



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