Virus che guariscono

21 febbraio 2003
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Virus che guariscono



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Chi nasce con una mutazione genetica la conserva per tutta la vita, a meno che non si riesca a "raddrizzare" il gene colpevole.

Molte malattie sono causate da difetti (mutazioni) di uno o più geni, quindi correggere questi difetti sarebbe sufficiente per ottenere una guarigione definitiva. Questo il principio generale, molto più facile a dirsi che a farsi. La mappatura del genoma umano certo aiuta: ora si conosce la sequenza esatta di tutti i geni presenti nel DNA. Resta da scoprire quale sia la funzione di ogni singolo gene e, anche in questo campo, i progressi sono sempre più rapidi. Trovata la funzione si può anche stabilire quali siano le conseguenze patologiche di un malfunzionamento di quel gene. In effetti questo è ciò che sta succedendo: un gene difettoso codifica (produce) una proteina anomala che non è in grado di svolgere le sue azioni specifiche e, di conseguenza, l'organismo si ammala. Fin qui è tutto relativamente semplice, le difficoltà arrivano quando si tenta di correggere il gene malato (o assente).

Come si manipolano i geni


Il primo passo consiste nel "clonaggio" del gene, cioè nella produzione con tecniche di biologia molecolare di una copia sana del gene malato. Dopo di che questo clone deve essere trasferito all'interno delle cellule che esprimono il gene difettoso: quelle cellule, cioè, dove il gene mutato è attivo e produce la proteina anomala che causa la disfunzione che si vuole correggere.
Il trasferimento è un passaggio critico e non solo dal punto di vista tecnico. Una volta inserito nella cellula, infatti, il gene si deve esprimere in modo efficace, cioè deve resistere un tempo sufficiente a produrre quantità adeguate della proteina anomala o mancante.
Tecnicamente il trasferimento si può fare in-vivo o ex-vivo.
In-vivo si inserisce il gene sano direttamente nelle cellule del paziente.
Ex-vivo il gene viene inserito in cellule del paziente cresciute in laboratorio, se l'operazione ha successo le cellule verranno poi ri-trasferite nel paziente.
Iniettare il gene direttamente in ogni cellula è un procedimento laborioso e, oltretutto, non efficace, per questo si utilizzano dei vettori, cioè strutture o organismi, capaci di veicolare il gene proprio all'interno delle cellule bersaglio.
I vettori virali sono virus manipolati geneticamente: in questo modo non sono più patogeni ma mantengono la capacità di infettare le cellule dell'ospite inserendovi il loro materiale genetico, compreso il gene da trasferire. Si utilizzano retrovirus, lentivirus, virus adenoassociati e adenovirus a seconda delle cellule bersaglio che rivogliono colpire o delle dimensioni del gene che deve essere inoculato.
I vettori non virali: quelli utilizzati finora sono i liposomi: piccole sfere lipidiche che inglobano il pezzo di DNA da trasferire. I liposomi non presentano rischi in termini di sicurezza ma sono meno efficienti dei virus e, soprattutto, meno selettivi nel raggiungere il bersaglio.

Le difficoltà


Dalla teoria alla pratica gli ostacoli sono ancora molti. Primo fra tutti l'efficienza del trasferimento, seguito dalla durata dell'espressione. Il gene trasferito deve potersi esprimere per un tempo sufficiente a sortire gli effetti terapeutici desiderati. Più lungo è questo tempo minori saranno i trattamenti ripetuti a cui dovrà essere sottoposto il paziente.
Le difficoltà, però, non finiscono qui: utilizzando vettori virali, infatti, il rischio che questi mantengano una certa pericolosità (virulenza) è sempre presente. Inoltre è sempre possibile che l'organismo del pazienti scateni una reazione immunitaria contro il materiale estraneo che riceve: il gene, la proteina che questo codifica o il vettore. Una reazione di questo tipo, ovviamente, porterebbe alla distruzione delle cellule geneticamente modificate o alla inattivazione della proteina sana, vanificando il successo della terapia.

I successi

Per ora i pazienti guariti con terapia genica sono pochissimi e si tratta di bambini affetti da una grave immunodeficienza ereditaria (SCID), la prima malattia ad essere affrontata nel 1990 con questa metodica. Questa conclusione non deve scoraggiare perché, a dispetto dei pochi risultati clinici, gli studi in corso in tutto il mondo sono moltissimi. Nonostante il recente stop all'impiego di retrovirus, sottoscritto anche dal Ministero della Salute a causa di eventi avversi verificatisi in Francia, gli esperimenti in vitro e sugli animali spaziano su un'infinità di malattie, di cui contribuiscono a chiarire i meccanismi.

Elisa Lucchesini



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