Una lotta contro il tempo

05 aprile 2006
Aggiornamenti e focus

Una lotta contro il tempo



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L'influenza aviaria rappresenta, e questo è ormai un dato di fatto, una rilevante minaccia di pandemia. Uno studio statunitense ha stimato che le conseguenze di una pandemia potrebbero determinare, nei soli Stati Uniti, 200 milioni di persone infette, 90 milioni di clinicamente malati e due milioni di morti. Non solo. Lo studio annovera anche un 30% di lavoratori malati, dei quali il 2,5% potrebbero morire, con una media di tre settimane di lavoro perse e una diminuzione del prodotto interno lordo del 5%. In più, una quota di persone oscillante tra i 18 e i 45 milioni potrebbe necessitare di cure extraospedaliere e i costi economici arriverebbero a 675 miliardi di dollari. Si tratta di una estrapolazione, è chiaro, ma le indicazioni che dà non rallegrano sicuramente. Anche perché l'Organizzazione Mondiale della Sanità riporta 176 casi di H5N1 confermati in sette paesi, con 97 morti, vale a dire una di mortalità del 55% sui casi identificati. In più il virus, dicono gli esperti, ha tutte le caratteristiche del virus pandemico: è nuovo, può causare malattia negli uomini e potrebbe essere trasmissibile da persona a persona. Per il momento siamo ancora alla fase tre delle sei fasi preventivate dall'OMS. Finora, cioè, non è stata riscontrata la trasmissibilità da uomo a uomo. La minaccia potenziale però, anche se non va drammatizzata, esiste. Una delle chiavi per gestire la situazione è lo sviluppo del vaccino, probabilmente il più importante strumento sanitario pubblico per diminuire morbidità, mortalità ed effetti economici dell'eventuale pandemia. Ancor di più in virtù della tanto evocata resistenza agli agenti antivirali. Sono cambiate così le priorità e gli sforzi dei ricercatori. Uno dei tanti vaccini in studio, è quello prodotto dalla Sanofi Pasteur e testato sotto il controllo dello statunitense National Institute of Allergy and Infectious Diseases. I risultati della sua sperimentazione, pubblicati sul New England Journal of Medicine, sembrano incoraggianti, anche se da solo non può bastare.

Lo studio del New England


Il trial, condotto tra marzo e luglio 2005, è stato realizzato in due fasi distinte. Nella prima sono stati arruolati 118 volontari, tra i 18 e i 64 anni d'età, suddivisi casualmente in 5 gruppi. A quattro di essi sono stati somministrati dosi differenti di vaccino (7,5 microgrammi, 15, 45 e 90), realizzato utilizzando il virus H5N1 inattivato e isolato nel Sudest asiatico nel 2004. Ai volontari dell'ultimo gruppo è, invece, stato dato solo placebo. Dopo aver così verificato la sicurezza del vaccino, sono stati arruolati altri 333 volontari ed è stato applicato un protocollo simile a quello adottato nel primo step. Sono state quindi evidenziate le risposte immunitarie, soprattutto nei soggetti che hanno ricevuto le dosi più elevate del vaccino. Non solo, non sono stati riscontrati effetti collaterali significativi e quelli riscontrati lo sono stati allo stesso modo in tutti e cinque i gruppi, compreso quello che aveva assunto solo placebo. Sulla base di questi risultati, concludono i ricercatori, si può dire che un vaccino subvirionico contro l'influenza A (H5N1) non provoca gravi effetti collaterali e, nella maggioranza dei trattati, genera risposte anticorpali neutralizzanti tipicamente associate a protezione contro l'influenza. Ma restano aperte alcune questioni. Innanzitutto gli anziani, gli immunodepressi e i bambini, potrebbero dare risposte differenti e, infatti, i trial su questi target sono in corso. In più, il fatto che le risposte immunitarie fossero alte con una più alta dose di vaccino rende necessaria una strategia più pratica di immunizzazione. Ossia gli alti dosaggi richiesti da questo vaccino rendono più complessa la produzione capillare richiesta da un'eventuale pandemia. Occorrono perciò strategie alternative. Una è l'uso di adiuvanti, cioè le sostanze che, aggiunte al componente attivo del vaccino, l'antigene, amplificano la risposta immunitaria dell'organismo (è questa la strategia Chiron), un'altra è la somministrazione intradermica del vaccino stesso. Un'ulteriore possibilità in studio riguarda la produzione di un vaccino a partire dalle cellule di coltura. La combinazione di questi approcci potrebbe essere risolutiva.

Marco Malagutti



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