Stop al farmaco se non funziona

27 ottobre 2006
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Stop al farmaco se non funziona



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Il bersaglio del morbo di Alzheimer è la corteccia cerebrale, sede delle funzioni alte del sistema nervoso, che prescindono dalla sopravvivenza e hanno a che fare con il pensiero e la coscienza. Chi ne viene colpito va incontro a un'alterazione della personalità e del comportamento che abbassa notevolmente la qualità della vita. Alcuni dei sintomi che compaiono sconfinano in quadri clinici di altre patologie psichiatriche, agitazione, aggressività, psicosi e allucinazioni ricorrenti e per gestirli si adottano regimi farmacologici tipicamente psichiatrici. Non a caso molti clinici si orientano verso antipsicotici atipici di seconda generazione, nonostante la Food and Drug Administration non li abbia approvati per il controllo delle psicosi. E, per quanto, sulle confezioni sia riportato il black-box che avvisa che "i pazienti anziani con psicosi dovute alla demenza, trattati con antipsicotici atipici hanno un rischio aumentato di morte rispetto al placebo", i medici continuano a prescriverli. Per altro alcuni di loro ammettono di continuare a farlo pur non avendo evidenze chiare che dimostrino il valore clinico di questi farmaci. Lo hanno fatto finora.

Sospeso per inefficacia


Infatti, grazie a uno studio, è stato abbondantemente dimostrato che gli esiti del trattamento con antipsicotici non differiscono in maniera sostanziale da quelli che si ottengono con il placebo, laddove per esito si considera l'interruzione della terapia per qualsiasi motivo.
Mettendo a confronto olanzapina, quetiapina, risperidone e placebo, somministrati dopo la randomizzazione a oltre 400 pazienti, è stato osservato innanzitutto un'elevata proporzione di sospensione della cura: l'82% abbandonava entro le 36 settimane di monitoraggio stabilite dal protocollo dello studio. Ciò avveniva dopo circa cinque settimane nel caso della quetiapina fino a un massimo di otto nel caso dell'olanzapina. Se si considerava l'interruzione dovuta a mancanza di efficacia, con il placebo avveniva molto presto, già dopo 9 settimane, mentre con olanzapina e risperidone si superavano le 22 settimane, ma già con la quetiapina i tempi erano sovrapponibili al placebo. La sospensione per eventi avversi ricorreva maggiormente con i farmaci rispetto al placebo, tra il 16 e il 24% dei pazienti in terapia aveva dovuto smettere a causa della comparsa di sintomi parkinsoniani o extrapiramidali e necessità di sedazione, in percentuali variabili si manifestavano anche confusione, alterazione dello stato mentale, disturbi cognitivi, sintomi psicotici.

Meglio non peggiorare


Non resta quindi molto da fare, se la scelta del medico è di tentare la via degli antipsicotici atipici, meglio sospendere se dopo un periodo di tempo individuato tra le due e le quattro settimane, il paziente non ne trae beneficio. Il tempo necessario per arrivare a questa conclusione per mancanza di efficacia, sembra favorire olanzapina e risperidone, ma se si considera la sospensione per effetti collaterali i vantaggi tendono a essere sovrastati dalla possibilità di eventi avversi.
Il valore aggiunto di questi risultati è che la valutazione che porta alla decisione di smettere la terapia contempla il giudizio di più figure: il paziente stesso, chi si prende cura di lui, quindi anche i familiari, e ovviamente il medico.
Quindi non basata solo su parametri clinici, ma anche su quanto la cura intrapresa migliora o peggiora la qualità della vita di un paziente. E considerando che il morbo di Alzheimer è una malattia degenerativa, il tentativo è di non peggiorarla prima del tempo.

Simona Zazzetta



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