Fibra forte contro l'infiammazione

03 ottobre 2008
Aggiornamenti e focus

Fibra forte contro l'infiammazione



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Continuano a raccogliere dati significativi le ricerche, anche solo osservazionali, su quanto il regime alimentare influisca sullo stato di salute. Dati che mettono in relazione lo sviluppo di patologie a un certo tipo di dieta come pure la possibile prevenzione delle stesse. Molti di questi lavori sono focalizzati sui processi infiammatori, proprio perchè alla base di molte malattie, dalle neoplasie a quelle metaboliche e ovviamente a quelle cardiovascolari, aterosclerosi in testa.

Interferenza sui marcatori


Per esempio, è stato più volte notato che l'effetto protettivo da queste malattie è associato a una dieta ricca di fibre e dipende proprio dall'interferenza esercitata sui processi proinfiammatori. Interferenza spiegata da due ipotesi: una riduzione del processo ossidativo su glucosio e grassi grazie a un ambiente intestinale sano e funzionale; un'alterazione delle adipocitochine (molecole proinfiammatorie secrete dal tessuto adiposo) e un miglioramento del metabolismo dei grassi a livello del fegato. Al contrario, il rischio di andare incontro a patologie croniche (malattia coronarica, diabete, sindrome metabolica) è valutabile, tra le altre cose, sulla base dei livelli ematici di marcatori di infiammazione sistemica ben noti come la proteina C reattiva a elevata sensibilità (hs-CRP), l'interleuchina 6 (IL-6) e recettore 2 del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa-R2). Riuscire a controllare il livello di questi marcatori rappresenta una strategia di prevenzione e l'opportunità di farlo attraverso una dieta ricca di fibre è stata nuovamente valutata in una popolazione di circa 2000 donne sovrapponendo il loro stato infiammatorio alle abitudini alimentari.

Citochine più sensibili


Il campione proveniva dal braccio osservazionale del Women Health Initiative (WHI) uno dei maggiori programmi di ricerca sulle patologie, disabilità e cause di morte delle donne in postmenopausa, durato 15 anni. La popolazione, selezionata in questo caso, non aveva avuto particolari problemi di salute nei tre anni precedenti e, con questionari specifici, è stato possibile ricostruire il regime dietetico di circa cinque anni (1993-1998). La quantità media di fibre assunta quotidianamente era 16 grammi, al di sotto delle raccomandazioni delle linee guida dietetiche che ne suggerisce dai 20 ai 35 grammi al giorno, ma già nell'intervallo di variazioni attorno alla media riscontrata si potevano osservare oscillazioni delle concentrazioni ematiche dei marcatori. Un maggior consumo di fibre, totali, solubili e non solubili, era associato a livelli più bassi di IL-6 e di TNF-alfa-R2, nessuna relazione invece con la hs-CRP. Un dato apparentemente scoraggiante, dal momento che la maggior parte degli studi si sono focalizzati proprio sul comportamento della proteina C reattiva in relazione alle variabili degli stili di vita. Tuttavia, ci sono almeno due studi che sostengono che IL-6 e TNF-alfa-R2 siano fattori predittivi più forti di eventi cardiovascolari. Tra le considerazioni conclusive degli autori, per spiegare le osservazioni, viene detto che i due marcatori, due citochine infiammatorie, le cui concentrazioni variano, potrebbero regolare la hs-CRP, e l'influenza della dieta modifica prima loro e poi, indirettamente, la hs-CRP. Vale a dire che spiegano le osservazioni con una diversa sensibilità dei marcatori di infiammazione all'aumento di fibre nella dieta. In ogni caso è interessante, anche dal punto di vista della salute pubblica, la conferma di come una piccola variazione nella dieta, per altro semplicemente osservata e non cercata con un intervento, che incrementa la quantità di fibre ingerita, possa sortire effetti sullo stato infiammatorio. A voler intervenire il margine è ampio.

Simona Zazzetta



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