Cibo, medicina o tutti e due?

27 maggio 2005
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Cibo, medicina o tutti e due?



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"Lasciate che il vostro cibo sia la vostra medicina", così sentenziò Ippocrate, padre della medicina. Eppure nonostante questa illustre premessa, nel mondo medico la nutrizione non ha ancora raggiunto il posto che le spetterebbe. Un significativo passo in questa direzione è rappresentato dagli alimenti funzionali, alimenti cioè modificati in modo tale da aggiungervi un fattore favorevole alla salute. Un editoriale del British Medical Journal si occupa del cibo medicina soffermandosi in particolare sugli aspetti legislativi. Si tratta, infatti, di un mercato in rapida espansione ma, si chiedono molti consumatori, ci si può fidare leggendo "ricco in vitamina C" o messaggi ancora più vaghi come "rafforza le difese del sistema immunitario"? E chi tutela i consumatori?

Quali sono funzionali?


La maggior parte degli alimenti funzionali contengono vitamine, minerali o altri nutrienti finalizzati a promuovere la salute. Su alcuni esistono certezze: l'acido folico riduce il rischio di difetti del tubo neurale nel nascituro, il sale addizionato di potassio riduce la pressione e gli acidi grassi polinsaturi prevengono le malattie cardiovascolari. Ma su altri esistono dubbi. E non pochi. Per esempio le gomme allo zinco proteggono dal raffreddore? O bevande ricche in vitamina C proteggono dalle malattie cardiovascolari? E non è finita qui perché sono funzionali anche alimenti in cui l'addizione non è di sostanze nutritive; per esempio zuccheri alcolici nel chewing gum, per prevenire la carie, steroli vegetali che abbassano il livello di colesterolo o batteri probiotici per alleviare la diarrea nei neonati. E ancora fitoestrogeni per il tumore del seno o oligosaccaridi per la salute intestinale. Per non parlare poi di tutte le erbe, come Kawa, iperico o echinacea, che possono essere catalogate tra gli ingredienti non nutritivi. Tutte sostanze, vendute come supplementi e aggiunte ai cibi, sulla cui efficacia e sicurezza permangono molti dubbi.

Verso una legislazione comune


Il mercato di questi prodotti è il nocciolo della questione sollevata dall'editoriale del Bmj. I consumatori, infatti, non hanno gli strumenti per verificare le rivendicazioni salutiste di questi prodotti, non possono, perciò, che fare affidamento sulle istituzioni. Ma attualmente i regolamenti - questo il parere dell'editorialista - non tutelano abbastanza. Un fatto complicato dalla stratificazione dei prodotti: quelli con rivendicazioni più soft che richiedono evidenze soft, quelli, invece, con maggiori pretese per cui i controlli dovrebbero essere più serrati. E in tutto questo un ruolo è giocato anche dalle aziende produttrici che riescono, abilmente, ad aggirare le regole. Le legislazioni, inoltre, non sono armoniche e variano da paese a paese e negli stessi Stati Uniti, che un tempo avevano il sistema più rigoroso, si stanno allentando le briglie. Per non parlare dell'Unione Europea dove la situazione è ancora più complessa e frammentaria e dove c'è grande l'attenzione verso la sicurezza alimentare meno verso le potenzialità mediche dei cibi. Per cui paradossalmente succede che non si può sostenere che un alimento protegga da una malattia nemmeno nel caso in cui sia vero come per l'acido folico. Vengono così meno le potenzialità dei functional foods equiparati su un unico livello, veri e presunti. Un'adeguata regolamentazione potrebbe, invece, essere il motore di ricerche serie in quest'ambito, un aspetto cui non tengono tutte le aziende produttrici. Una speranza però c'è - conclude l'editoriale - ed è rappresentata dal codice proposto, dopo anni di delibere, dalla UE. Se il Parlamento Europeo approvasse potrebbe essere un passo nella giusta direzione.

Marco Malagutti



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