Violenza, guardo e imparo

18 maggio 2007
Aggiornamenti e focus

Violenza, guardo e imparo



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Per chi ha avuto la fortuna di nascere e crescere in società caratterizzate dal benessere, la violenza è un’esperienza indiretta, nonostante i mezzi di comunicazione tendano a sopperire quotidianamente tale distanza. Sono, in particolare, le immagini video e i contenuti di film, telefilm e programmi televisivi che irrompono in maniera molto efficace la rete di protezione che il mondo occidentale ha creato intorno a sé. Rimane da capire in che modo la violenza che passa attraverso questi canali condizioni la vita di persone che non devono farci i conti in modo diretto.

Aggressività di reazione


L’interesse verso tali argomenti ha origine all’inizio degli anni ’70, quando un comitato scientifico americano si è occupato nello specifico di comportamento sociale in rapporto con la televisione (Surgeon General's Scientific Advisory Committee on Television and Social Behavior). Negli anni ’80 gli esperti erano d’accordo nel sostenere che l’esposizione alla violenza veicolata dai mezzi di comunicazione, almeno durante parte del periodo dello sviluppo infantile, aumentava il rischio di sviluppare aggressività. Negli anni ’90 diverse metanalisi hanno fornito una revisione sistematica di tutti gli studi fatti, utile per approfondire le conoscenze sui processi che producono gli effetti osservati. Per altro ulteriormente riconfermati da una recente metanalisi che risale al 2006. Per l’occasione, sono stati selezionati 431 studi che avevano incluso una misura dell’esposizione alla violenza tramite i mezzi di comunicazione, tra cui la televisione e tutto ciò che vi passa attraverso, e la misura di comportamenti aggressivi. Di questi, 264 si erano occupati di bambini, per un campione totale di oltre 50mila soggetti, 167 avevano coinvolto oltre 18mila adulti. La correlazione era ancora una volta positiva: a una maggiore esposizione corrispondevano comportamenti e pensieri aggressivi, predisposizione alla rabbia e all’eccitazione. Come pure una correlazione negativa verso comportamenti sociali e altruistici.

Cattivi maestri


La distinzione tra adulti e bambini acquisiva un senso in termini di dimensione e tempistica dei comportamenti osservati. Per esempio, gli adulti mostravano effetti più intensi rispetto ai bambini in studi sul breve termine, mentre il contrario avveniva in studi sul lungo termine.
Sostanzialmente gli effetti a breve termine sono il risultato dello stimolo di convinzioni, schemi e piani di azione esistenti e ben codificati nell’adulto mentre gli effetti a lungo termine sono quelli che necessitano di apprendimento, cioè di codifica. Le menti giovani con meno cognizioni codificate esistenti possono renderle tali attraverso l’apprendimento osservazionale, che si manifesta nel tempo e con meno interferenze e sforzi dell’adulto. Questo tipo di apprendimento si affida al meccanismo di imitazione la cui unità funzionale nel cervello è il neurone specchio che permette all’uomo (e ai primati) di imitare un’azione che si sta guardando. La considerazione più immediata proposta dagli autori della metanalisi, è che i bambini rappresentano la fascia più sensibile e che necessita maggiormente di essere protetta dalle immagini di violenza, proprio perché è attraverso l’osservazione che avviene l’apprendimento. Anche se l’esposizione meno frequente genera effetti più contenuti è sempre meglio evitare che si ripeta sia attraverso video games violenti sia attraverso programmi televisivi violenti. Inoltre, avvisano i genitori che le dimensioni degli effetti a lungo termine aumentano nella misura in cui i bambini percepiscono la violenza come realistica, giustificata e soprattutto ricompensata. E infine da quanto si identificano con chi la realizza. E’ evidente che in questo scenario l’eroe d’azione può diventare un maestro di comportamenti violenti più di un criminale.

Simona Zazzetta



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