L’Associazione italiana celiachia risponde alla trasmissione “Report”

21 ottobre 2015
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L’Associazione italiana celiachia risponde alla trasmissione “Report”



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L'Associazione italiana celiachia (Aic), che riunisce oltre 55mila pazienti, dirama un comunicato stampa per rispondere all'inchiesta di Report, che domenica sera ha dedicato la trasmissione al tema: "Come vengono pensate e scritte le leggi?".

In particolare, il servizio di Emanuele Bellano e Luca Chianca sui prodotti celiaci, ha voluto mettere in dubbio il decreto Veronesi che dal 2001 garantisce un budget di spesa mensile ai celiaci per comprare prodotti senza glutine; che varia da regione a regione e per fascia d'età. Si parla di una spesa annua sostenuta dal Servizio sanitario nazionale pari a 215 milioni di euro, e in costante aumento, considerato l'incremento costante di diagnosi di celiachia.

Il budget mensile che i celiaci hanno a disposizione può essere utilizzato per i prodotti con fustella, sono più di 5mila e variano dalla pasta fatta con farine di mais e riso a crostini, taralli, pizze, dolci e merendine. Il prezzo viene proposto dalle aziende produttrici al ministero della Salute che accetta e rimborsa supermercati e farmacie per le spese fatte dai celiaci.

Report pone la questione su tre punti: tipologia di prodotti inseriti nel Registro, costi elevati dei prodotti senza glutine e qualità di questi prodotti.
"Perché il Servizio sanitario nazionale deve rimborsare bignè e crostatine?"; "Cosa giustifica prezzi così elevati dei prodotti senza glutine in Italia?", si domandano i giornalisti di Report, che durante la trasmissione portano l'esempio di cioccolatini che arrivano a costare 110 euro al chilo.
E poi, "questa spesa è giustificata dalla qualità dei prodotti?". Secondo Anna Villarini, nutrizionista dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano, interpellata da Report, l'elevato costo dei prodotti non è giustificato dalla qualità di alimenti prodotti con materie prime a basso costo, fatti con olio di palma, farine raffinate e senza fibre.

L'Associazione celiachia (Aic), tramite comunicato stampa, cerca di rispondere a questi dubbi. «L'accesso ai prodotti senza glutine tramite i buoni del Servizio sanitario nazionale (Ssn), entro il tetto massimo di spesa previsto dalla legge di 99 euro mensili per le donne e 140 per gli uomini, è un diritto essenziale dei pazienti perché li protegge dal rischio di mancata aderenza alla dieta senza glutine. Banalizzare la terapia è pericoloso perché per la celiachia non esistono farmaci e solo il cibo può essere la cura. La dieta se non seguita con rigore, secondo gli esperti, comporta rischi per la salute dei pazienti e il celiaco che non la fa bene costa al Ssn molto più che curarlo» dichiara Giuseppe Di Fabio, presidente Aic.

«Bisogna dunque creare tutte le condizioni perché il paziente possa aderire alla terapia simulando una dieta "normale» conferma Gino Roberto Corazza, Ordinario di Medicina Interna all'Università di Pavia e fra i massimi esperti al mondo di celiachia.

«È importante poter consumare prodotti che rientrano di solito nella dieta delle persone come biscotti e merendine, che secondo un recente studio hanno profili nutrizionali analoghi ai prodotti con glutine presenti al supermercato e, in alcuni casi, addirittura migliori, con più fibre e meno olio di palma. Tali prodotti sono fondamentali perché permettono ai celiaci, in particolare bimbi e adolescenti, di non allontanarsi dalla dieta consentendo di condurre una vita sociale che non li faccia sentire diversi. Evitando ogni inutile allarmismo sui prodotti per celiaci, che rischia di impedire l'adesione alla terapia, Aic diffonde i principi generali di educazione alimentare, che prevedono una dieta varia ed equilibrata, consigliando il corretto consumo per porzioni e frequenza di tutti gli alimenti, che, di per sé, non vanno demonizzati. Qualsiasi abuso del diritto alla dieta senza glutine va scoraggiato e anche sanzionato» riprende Di Fabio.

"Il Ssn quindi non rimborsa in modo indiscriminato prodotti "superflui" o addirittura "dannosi". Lo Stato, come previsto dalla legge, copre solo il 35 per cento del fabbisogno calorico complessivo del celiaco, calcolato su prezzi degli alimenti che risalgono al 2001 ed eroga prodotti controllati dal Ministero che non comportano alcun danno alla salute, ma sono strumento di cura equo e sicuro, accessibile anche a chi non potrebbe permetterselo per i costi più elevati dei prodotti senza glutine. La garanzia di un diritto fondamentale al costo di poco più dello 0.1% della spesa sanitaria complessiva» commenta Caterina Pilo, Direttore Generale Aic.

Questi maggiori costi sono dovuti a particolari investimenti in ricerca e sviluppo, procedure di controllo specifiche e linee di prodotto separate. E, in base a un confronto delle associazioni europee dei pazienti su un paniere di prodotti, in Italia il costo medio è di 14,54 euro, al di sotto della media europea di 16,45 euro (come anche l'Austria, con € 11,65, mentre in Francia, Norvegia, Svizzera e Ungheria sfiora i € 20,00).

«A ogni modo, non bisogna perdere di vista il problema principale legato alla celiachia: nel nostro Paese solo il 25 per cento dei celiaci è diagnosticato, gli altri non sanno di esserlo e mettono a rischio ogni giorno la loro salute. Servono in media ancora 6 anni per giungere alla diagnosi sprecando denaro pubblico con esami inutili e costosi. Il recente aggiornamento delle Linee Guida per la Diagnosi da parte del Ministero della Salute va proprio verso l'obiettivo di miglioramento della diagnosi» conclude Di Fabio.

Ilaria Pedretti



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