Osteoporosi: cortisone ladro di ossa

06 aprile 2011
Interviste

Osteoporosi: cortisone ladro di ossa



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L'osteoporosi viene generalmente percepita come una conseguenza della menopausa che interessa una fase tardiva della vita, in particolare delle donne. Recentemente, però, è stato osservato che anche alcuni farmaci, in particolare i cortisonici, hanno effetti negativi sull'osso, indipendentemente dall'età, e a maggior ragione in quella postmenopausale, e anche dalla mineralometria ossea computerizzata (Moc), parametro usato per valutare la densità dell'osso. Andrea Giustina, Direttore del Servizio di endocrinologia e del Centro Osteoporosi dell'A.O. Spedali Civili di Brescia, P.O. di Montichiari, spiega a Dica33 quali sono i rischi e come affrontarli.

Che cosa è stato scoperto a proposito dei farmaci cortisonici?
Alcuni anni fa ci si è accorti che questi farmaci avevano effetti negativi sull'osso, poiché alcuni soggetti avevano un elevato rischio di frattura, prima ancora che si presentassero valori di Moc a rischio. Si trattava di pazienti che, per vari motivi, seguivano una terapia cortisonica, ma che non erano stati protetti con un trattamento antifratturativo, mentre magari assumevano già gastroprotettori prescritti dal medico.

Che rischi corrono questi pazienti?
L'evento più frequente è la frattura vertebrale, che molto spesso, però, non viene diagnosticata in tempo. Ciò accade poiché mentre, per esempio, con una frattura del femore serve il ricovero e la diagnosi è più immediata, una frattura vertebrale che consiste in uno schiacciamento, provoca un dolore molto simile a un mal di schiena e come tale viene spesso confusa e trattata solo con antidolorifici. Nel giro di un mese la colonna si assesta e il dolore scompare e nel frattempo, senza una lastra non c'è stata diagnosi e la colonna è ormai deformata dalla calcificazione.

È possibile prevenire l'effetto dei cortisonici sull'osso?
Sì, con le terapie antifratturative che si usano per l'osteoporosi. Il meccanismo con cui i cortisonici impatta sull'osso dipende dal suo effetto sugli osteoblasti, le cellule responsabili della formazione di matrice ossea, "addormentandoli" e squilibrando quindi il processo di rinnovamento dell'osso. In questi casi, infatti, risulta molto efficace una terapia antifratturativa con paratormone in combinazione con teriparatide, che "risveglia" gli osteoblasti. Ma si possono usare anche i bisfosfonati. L'accesso a questi farmaci, per i pazienti con osteoporosi cortisonica, è previsto nella nota 79 che definisce i limiti della prescrizione di farmaci antiosteoporotici a carico del Servizio sanitario nazionale. L'uso di cortisonici, per altro, in quanto fattore di rischio, è stato inserito nell'algoritmo Frax usato per valutare il rischio fratturativo.

Quali sono i soggetti più a rischio?
Innanzitutto le donne in menopausa che assumono terapia cortisonica. Ma anche pazienti con artrite reumatoide, più diffusa tra le donne, che devono seguire questa terapia e per i quali, vista la patologia di cui soffrono, la comparsa di osteoporosi peggiorerebbe molto le loro condizioni. Ma il cortisonici, sempre nell'ambito della patologie reumatiche, viene prescritto anche ai pazienti con lupus eritomatosus sistemico. Questa malattia colpisce molto le giovani donne e poiché dà una spiccata sensibilità al sole, le pazienti tendono a non esporsi con un calo dei livelli di vitamina D, molto importante per la salute delle ossa. In queste condizioni, i cortisonici aumentano il rischio di fratture con un impatto importante sulla vita. Effetti negativi si verificano anche nei bambini che, sottoposti a trapianto vengono trattati con cortisonici per la terapia antirigetto. Il processo di crescita si ferma perché i cortisonici bloccano la produzione di ormone della crescita riducendo così l'acquisizione del picco di massa ossea, che rappresenta l'equilibrio tra osso prodotto e osso perso.

Ci sono altre terapie che hanno lo stesso impatto sulla salute dell'osso?
Sì, è noto per gli inibitori dell'aromatasi impiegata nel trattamento del carcinoma mammario, per gli antiretrovirali usati nei soggetti positivi per l'Hiv o malati di Aids e anche per l'eparina, l'anticoagulante più usato. È aperto il dibattito sul trattamento inalatorio dell'asma che prevede dosi basse, mentre il rischio c'è con dosi inalatorie alte. Ma, va tenuto conto del fatto che, se si verifica una frattura vertebrale che altera la cassa toracica, anche la respirazione ne risente.

Che cosa è necessario fare se si seguono queste terapie?
Chi deve fare almeno sei mesi di terapia con cortisonici deve fare anche una terapia preventiva per le fratture. Il rischio, infatti, dipende dalla dose e dalla durata, nella nota 79 e nel Frax, infatti, si fa riferimento a dosi >5 mg/die di prednisone o equivalenti, assunti continuativamente per più di tre mesi. Il rischio fratturativo rappresenta, in sostanza, un effetto collaterale di molti farmaci, che non mette in dubbio l'efficacia della terapia, ma va reso noto e chi prescrive deve esserne informato.

di Simona Zazzetta



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