Sangue cordonale, capitale da condividere

07 maggio 2010
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Sangue cordonale, capitale da condividere



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di Simona Zazzetta

Sulla scelta della destinazione del sangue cordonale raccolto al momento del parto pesano molti aspetti emotivi e sapere che nelle cellule staminali presenti nel sangue cordonale ci potrebbe essere la cura di una futura malattia del nascituro pone dubbi importanti. Ma la conservazione autologa di queste cellule, che consiste nel conservarle in un centro di raccolta privato estero per destinarle solo al trapianto nel proprio figlio, è una garanzia per la sua salute?

Dalla scienza non arrivano conferme, anzi ciò che si sa non evidenzia vantaggi dalla conservazione autologa, rispetto alla donazione per uso allogenico, che invece è quella che permette di destinare le cellule staminali cordonali a trapianti in pazienti compatibili, diversi dal donatore. Quest'ultima è possibile in una delle 20 biobanche italiane in modo del tutto gratuito, in quanto garantita dai Livelli essenziali di assistenza (Lea). Eppure, solo una parte, circa 4.300 delle 16.200 delle sacche di sangue cordonale raccolte nelle sale parto, viene donata, le altre vengono spostate a spese proprie in banche estere. Una scelta che, secondo gli esperti del Gruppo italiano trapianti di midollo osseo (Gitmo), è poco utile per il singolo e per la comunità, innanzitutto perché i dati raccolti finora non dicono con chiarezza quale sia la percentuale di persone che ricorrono al trapianto autologo, cioè l'infusione nel paziente di cellule estratte dal proprio sangue cordonale. Si tratta di una percentuale molto bassa e molto varia e che quindi non permette di estrapolare un dato affidabile anche perché la stessa comunità scientifica internazionale non riconosce a questa pratica un vantaggio significativo. Va inoltre considerato che il sangue cordonale è una delle possibili fonti di cellule staminali ematopoietiche (cioè in grado di generare cellule del sangue), che possono essere utilizzate per trattare con un trapianto leucemie, deficit immunitari congeniti, mieloma multiplo, linfomi e anemia mediterranea. Ma nei casi di tumori del sangue, come le leucemie e linfomi, il trapianto autologo non è indicato in quanto cellule tumorali possono comunque essere presenti nel proprio sangue cordonale. Inoltre, sottolineano gli esperti del Gitmo, se in futuro si identificassero procedure di trapianto autologo realmente efficaci, più del 97% dei donatori che ha lasciato il proprio sangue cordonale nelle banche pubbliche potrebbe ritrovare la propria unità di sangue cordonale ancora disponibile. La legge italiana che definisce le disposizioni in materia, inoltre, consente una conservazione per uso dedicato nelle famiglie in cui, al momento della nascita del bambino, presenta esiste un parente stretto (fratello/sorella, mamma o papà del neonato), a cui sia stata diagnosticata una patologia trattabile con l'infusione di cellule staminali.

Ciò che accade nella realtà è che ogni anno, secondo il Registro italiano donatori di midollo osseo (Ibmdr), si effettuano circa 1.500 trapianti di cellule staminali emopoietiche e nella maggior parte dei casi non c'è un fratello compatibile, ecco perché i trapianti da donatore non-familiare sono arrivati a 700 l'anno superando quelli da familiare. In particolare nel 2009 in Italia sono stati eseguiti 112 trapianti di cellule staminali da cordone ombelicale, da donatori non consanguinei, provenienti da biobanche nazionali o estere. L'attività delle banche pubbliche ha permesso di usare 116 unità di cellule prelevate dal cordone ombelicale, e di inviarne 88 all'estero. I 60 centri italiani che eseguono l'intervento possono accedere al Registro internazionale che avvia una ricerca informatica tra i 16 milioni di donatori volontari di midollo e le 300 mila sacche di sangue cordonale disponibili. Un circolo virtuoso che vale la pena alimentare donando il sangue cordonale in modo solidaristico.



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