Parola (e non solo) di medico

28 agosto 2002
Aggiornamenti e focus

Parola (e non solo) di medico



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In una società sempre più tecnologicizzata, orientata al laicismo, in cui l'uomo diventa creatore di se stesso e in cui la vita e la morte vengono ridotti a meri fenomeni biologici, ogni individuo cerca di trovare un senso alla propria vita che abbia valore solo per se stesso, indipendentemente dagli altri. La vita in sé si presenta come l'unico punto di riferimento, non più un mezzo, ma un fine. La medicina, in questo senso, diventa una vera e propria fede e viene investita di aspettative, nella maggior parte dei casi, irrealistiche. Di contro la malattia e il malato rappresentano la trasgressione dell'ordine medico, un crimine, uno scandalo, causati dai nostri comportamenti scorretti e dalle nostre mancanze, come l'assunzione smodata di alcolici, di cibi poco salubri, l'assenza di attività fisica, il fumo. In un contesto in cui la dimensione individuale viene assolutizzata a scapito di quella sociale, in cui la malattia e la morte perdono il loro significato, sostituite da fantasie di immortalità, dal prolungamento artificiale della vita, dall'incapacità sempre più accentuata di sopportare il dolore fisico e psichico, risultano sempre più difficili la vicinanza fisica e psichica e la comunicazione tra sani e malati e, in modo particolare, quella tra medico e paziente.

Modelli di relazione


Nel tempo si sono succeduti e, a volte affiancati, se non sovrapposti, vari modelli di relazione medico-paziente, a cui corrispondono altrettante specifiche modalità comunicative. Il modello paternalistico vede il medico in posizione di centralità, unico detentore della conoscenza e del potere decisionale. Il paziente, nella sua posizione di inferiorità e di presupposta ignoranza, si deve limitare a eseguire accuratamente quanto prescritto dal medico. Nel modello informativo il medico si presenta come un informatore freddo e distaccato, che trasmette le nozioni cliniche in modo asettico, senza mostrare alcun segno di coinvolgimento emotivo. In alcuni casi, è stato assimilato ad un venditore, che illustra con cura il prodotto da vendere, le sue caratteristiche, i pro e i contro, evidenziando con ciò i rischi di un approccio eccessivamente tecnicistico. Nel modello interpretativo l'obiettivo centrale è la comprensione del significato che la malattia assume nella vita del paziente, similmente a come potrebbe fare uno psicoanalista. Il rischio, in questo caso, consiste nel mancato raggiungimento del successo clinico. Nel modello deliberativo il medico si presenta come un insegnante-amico, che aiuta il paziente a indagare il senso della sua malattia, a decidere circa la sua situazione, dopo averlo adeguatamente informato, in modo chiaro, semplice e accurato. Sono presenti un atteggiamento cooperativo e un clima disteso. Attualmente, si sta completando il passaggio dal modello paternalistico a quello deliberativo, nonostante alcune difficoltà e resistenze sia da parte di alcuni medici, che sentono minacciato il loro potere, la loro posizione di superiorità, sia da parte di alcuni pazienti, che, almeno in un primo momento del rapporto terapeutico, possono considerare vantaggioso affidarsi completamente ad una persona che si assuma le loro responsabilità e decida per loro.

Cosa ci si aspetta da un medico?


L'informazione medica trasmessa da alcuni mass media spesso esalta in modo spropositato i successi della ricerca, inducendo a credere che la medicina possa compiere miracoli, alimentando rabbia e diffidenza nel momento in cui ci si rende conto dell'impossibilità che questi si verifichino. Non solo un'informazione corretta e realistica da parte dei media contribuirebbero a ridimensionare le aspettative, ma anche il comportamento del medico potrebbe svolgere un ruolo importante in proposito. Dovrebbe presentarsi come persona, come figura dotata di possibilità, ma anche di limiti, che prova dubbi e li manifesta al paziente, che lo informa, lo rende partecipe delle decisioni che lo riguardano, che si mostra coinvolto emotivamente, pur facendo in modo che le emozioni non lo invadano al punto da rendere impossibile la sua attività. Nella relazione tra medico e paziente vi possono essere numerose difficoltà, indotte dalla situazione assai delicata e, in ultima analisi, di disparità, tra i due interlocutori: uno si trova in posizione di inferiorità, di debolezza, che deve chiedere; l'altro, dotato non solo di competenze tecniche, di professionalità, ma, almeno in quel momento, di quel benessere psicofisico che manca all'altro. Nascono sentimenti diversi: da una parte il paziente, che cerca aiuto, che desidera fidarsi e affidarsi, che vorrebbe delegare all'esterno le sue responsabilità, che tende a regredire ad uno stato pseudo-infantile, ma che, allo stesso tempo, desidera essere informato, decidere, non perdere il controllo della situazione e di se stesso e che prova rabbia e/o dispiacere per la sua condizione di malato. Dall'altra il medico, che si sente investito di una grande responsabilità che, a volte, non riesce a sostenere, per i limiti personali, tecnici, scientifici, economici imposti dalle ristrettezze della sanità, con conseguenti frustrazioni e demotivazione. A ciò si aggiungono i timori che, in quanto persona, anche lui prova nei confronti della malattia del paziente.

Un soluzione esiste...

Un punto di incontro tra le posizioni è possibile. E questo incontro si può verificare proprio sulla base di ciò che accomuna i due interlocutori: il loro essere persone con sentimenti ed emozioni, che conoscono e riconoscono in se stessi e negli altri, che non rappresentano un ostacolo alla relazione, ma costituiscono la base di un incontro e di uno scambio reciproco. Ogni paziente può imparare qualcosa dal suo medico, in termini scientifici, ma anche umani ed emotivi, così come il medico può fare grazie a lui. Quindi, se da una parte il medico cercherà in ogni modo di migliorare il suo approccio con il paziente, focalizzandosi su tutti gli aspetti della relazione, verbali e non, avvalendosi, magari, di particolari tecniche di comunicazione, anche il paziente può fare la sua parte. Essere in grado di vedere il proprio medico come persona, comporta il riconoscimento non solo delle capacità e dei limiti della sua azione, ma anche dei suoi sentimenti, persino nei casi in cui egli cerca di difendersene, presentandosi come un asettico fornitore di informazioni tecniche e scientifiche. Le circostanze che vincolano le sue azioni diagnostiche e terapeutiche possono essere fonte di gravi sofferenze e di frustrazione non solo per il paziente, ma anche per il medico. Un maggiore comprensione reciproca induce una maggiore disponibilità all'ascolto e al dialogo. E' importante, in tal senso, non limitarsi all'ascolto delle prescrizioni mediche, ma anche stimolare il dibattito, ponendo domande, per avere modo di chiarire eventuali dubbi e aderire nel migliore dei modi al percorso terapeutico. In quest'ottica, quando si riferisce al medico la propria sofferenza è opportuno non limitarsi a descrivere i soli sintomi fisici, nella convinzione che al medico possano interessare solo quelli, ma esprimere anche i propri vissuti, la posizione che la malattia assume nella vita, come l'ha cambiata e quali sono le emozioni a riguardo. La terapia, così come la malattia, riguarda sempre sia il fisico, sia la mente.

Anna Fata



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