Petra Kolber, la star del fitness

19 dicembre 2016
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Petra Kolber, la star del fitness



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"Sono fortunata ad aver avuto l'opportunità di far parte di questo ambiente per 25 anni". In questa affermazione, schietta e sincera quanto semplice, esplode tutta la solarità di Petra Kolber, un esempio di vita per ogni trainer, prima che un monumento a questa affascinante ma complicata (e faticosa) professione. In un mercato particolare come quello americano, in cui la notorietà mediatica di Jane Fonda contava più della competenza tecnica di un istruttore preparato e scrupoloso, Petra ha saputo lentamente, con umiltà e perseveranza, invertire la situazione. E oggi rappresenta la faccia pulita dell'America

Tutto iniziò con lo step...

E pensare che tutto è nato un po' per caso. Se le cose fossero andate come inizialmente desiderava, la Kolber sarebbe diventata una star di Broadway e, forse, un'altra Jane Fonda. Per tutti gli anni Ottanta è una ballerina professionista, dieci anni tra plié, arabesque e casquè. Poi, complice Reebok e un attrezzo tanto semplice quanto innovativo - lo step - ecco l'illuminazione: Petra è tra le prime trainer di step aerobic e, in un momento in cui quel curioso "gradino" era guardato ancora con sospetto nei centri fitness, gira per le palestre di Miami con musicassette e registratore sottobraccio per proporre questa novità, cercando di convincere i gestori che non si trattava di una moda passeggera ma di una nuova frontiera che avrebbe rivoluzionato il fitness. Una ragazza semplice e determinata: molte porte chiuse in faccia, altrettanti sorrisetti ironici, fino ad arrivare finalmente alla prima classe di 1 (una!) persona. Diventeranno 50 in un bit. Ma nonostante ciò, la gavetta nei roboanti anni Novanta è durissima. "Mi alzavo alle 4 del mattino tutti i giorni per aprire una palestra", ricorda Petra. "Poi correvo tutto il giorno da un capo all'altro della città (New York, mica Milano, n.d.r.), per raggranellare 25 ore di insegnamento alla settimana tra le varie palestre e riuscire a racimolare uno stipendio da fame. Ma ho sempre fatto fronte a ogni debito e ho imparato a essere una buona insegnante".

Oggi che è affermata, cosa ricorda di quei primi tempi pieni di incognite?

Tutto iniziò nel 1990, mentre lavoravo a Miami. Pur non immaginando ancora una carriera nell'ambito delle palestre, partecipai al primissimo Step Certification organizzato da Reebok: una novità per la Casa inglese, una novità per me. Che restai letteralmente "folgorata" da quell'attrezzo, al punto da diventare una tra le prime trainer di step a Miami. Poi, nel 1991, un provino sfortunato mi fece capire che la mia strada non era quella pur bella e affascinante di Broadway, ma quella altrettanto suggestiva di questo nuovo attrezzo travolgente. Dal momento che gli istruttori erano ancora pochi, riuscii a tenere corsi nei centri fitness più autorevoli di New York, tra cui il rinomato Molly Fox Studio, dove mi hanno dato fiducia e mi hanno permesso di creare nuove e varie coreografie. Una, in particolare, prevedeva l'interazione con quattro percussionisti dal vivo: fu un vero successo di richieste. Reebok ne venne a conoscenza e mi ingaggiò come atleta. È iniziato tutto così...

Quali sono le difficoltà maggiori che ha incontrato in carriera?

Una delle sfide principali è quella di rimanere fedeli a sé stessi: in questo settore le tendenze vanno e vengono, gli attrezzi mutano in continuazione e sono subito superati da un modello diverso. Come presenter è facile farsi trascinare in metodologie e stili che, per quanto popolari, non sono quelli in cui davvero si crede. Bisogna saper trovare quel delicato punto di equilibrio tra la propria formazione e queste "sirene" a volte davvero fugaci. Ad esempio, attualmente in America c'è grande richiesta per l'alta intensità e il lavoro duro, workout che certamente funzionano per molte persone, ma che non mi piace insegnare e, soprattutto, non mi fanno stare bene quando li insegno. Io amo la dance, la sinergia mente/corpo, lo step. Allora, devo insegnare ciò in cui mi sento davvero protagonista realizzata o ciò che è popolare? Ho provato entrambe le soluzioni e ho capito che do il meglio di me quando lavoro su quello che davvero mi appassiona: bisogna saper restare fedeli a sé stessi. Sempre. E bisogna sapersi accettare: man mano che aumentava la mia fama, aumentava anche la mia preoccupazione di commettere errori, di non essere all'altezza, di non sapere tutto. Ma la mia carriera è davvero decollata nel momento in cui ho realmente interiorizzato il fatto che nessuno è perfetto e che la sola cosa da fare è accettare di essere una persona "normale". Da allora, ho davvero apprezzato ogni momento di insegnamento e di lezione.

Poi, nel 1999, la sfida più terribile: il cancro

È stata la difficoltà maggiore che ho affrontato. Ho dovuto sottopormi a radioterapia e chemioterapia. Credo che ciò che davvero mi ha salvata, al di là dei trattamenti medici, sia stato proprio il fitness. Al tempo ero un'atleta Reebok e l'azienda mi ha aiutata molto, con grande flessibilità sui miei doveri, in modo da permettermi ogni visita medica: il lunedì facevo la seduta di chemio e il giovedì insegnavo step con la testa completamente calva. Ma il fitness mi ha dato la forza e la certezza che avrei superato tutto.

Quali sono le doti che deve aver un buon trainer (al di là della competenza tecnica, che diamo per scontata) ?

La condivisione, la compartecipazione. Siamo così intenti a imparare nuovi passi e nuovi esercizi che abbiamo perso di vista il fattore più importante: la condivisione del cuore. A volte, invece, è meglio interrompere la coreografia e tornare indietro a ciò che l'ha ispirata. Tu puoi presentare la sequenza più incredibile del pianeta, ma se le persone della tua classe non si sentono guidate, corrette e motivate, se non percepiscono come tu le consideri, è tutto inutile. Esistono momenti unici, durante una coreografia: l'istante in cui incroci lo sguardo di un partecipante e riesci a trasmettergli quanto - in quel passaggio - lo stai apprezzando. Devi conoscere i tuoi allievi, magari sapere anche qualcosa di loro che non c'entra nulla con il fitness. Ho partecipato a lezioni in cui mi presentavano ogni più recente esercizio, senza però avere la minima idea neppure del nome dell'istruttore, né incrociare nemmeno una volta il suo sguardo. Datemi un presenter che magari si limiti ai fondamentali, ma sappia guidare la classe con il cuore, sappia parlare con gli occhi, sappia strutturare una sequenza basata sulle reali necessità dei partecipanti, e sarò in quel corso ogni settimana!

Alla luce di ciò, per un trainer è più importante la tecnica del movimento o la creatività per riuscire a proporre routine varie ed efficaci?

È importate la sinergia di queste due doti. Oggigiorno, con così tanti e diversi corsi e obiettivi e con movimenti sempre più complessi dal punto di vista fisico e mentale, è imperativo saper "sezionare" ogni singolo movimento per essere in grado di adattarlo a ogni livello di condizione atletica. Invece, spesso vedo coreografie o esercizi pensati senza la dovuta attenzione, solo per fornire una base di forza. Chiunque può copiare una routine da Youtube; ma bisogna poi saperla analizzare e adattarla, in modo che ogni persona della classe possa realmente imparare.

Si può davvero fare "cultura" del fitness attraverso il web, diffondere l'idea di uno stile di vita corretto? O è solo un mezzo per vendere Dvd?

Il web è il modo più veloce e più diretto per comunicare le tue idee. E, se da una parte mi auguro che non sostituisca mai il dialogo personale, quello faccia a faccia, dall'altra bisogna ammettere che permette a chiunque di entrare in contatto con te, proprio alle persone che altrimenti non avrebbero mai avuto la possibilità di incontrarti e conoscerti. Purtroppo in rete c'è anche molto "rumore". Come può emergere, allora, un buon trainer? Semplicemente, essendo sé stesso: è inutile "scimmiottare" un altro sito o cercare di essere qualcun altro con un linguaggio tecnico e forbito: scrivete articoli in merito ad argomenti che vi interessano e che, per questo, conoscete davvero. Postate video che siano realmente un riflesso di voi, che vi rappresentino. Siate chiari, immediati, coerenti, autentici e sinceri. Ognuno di noi è unico: questa è la vera ricchezza di ciascuno.

Quali sono i clienti più difficili da allenare?

Non esistono clienti difficili, ma persone diverse con esigenze e obiettivi differenti. Può succedere di incontrare chi voglia allenarsi in un modo che non funziona per me, per il mio corpo. In questo caso non ho problemi a consigliargli un trainer più in linea con le sue necessità: verrà servito meglio, otterrà più benefìci rispetto a quelli che potrebbe ottenere con me e io non avrò "ingannato" un cliente con cui non posso esprimermi al meglio.

Come può un presenter essere sempre un trascinatore?

Mi piace ripetere a me stessa: "Sono in grado di motivare gli altri solo nella misura in cui so motivare me stessa". Vorrei suggerire a tutti gli istruttori di prendere classi anche al di fuori della loro "zona di competenza", in cui si sentono al sicuro: se insegnate CrossFit, prendete una classe di yoga; se fate dance, prendete una classe di arti marziali. Inoltre, guardate anche al di fuori del nostro settore per ispirarvi: si possono trovare nuovi modi e idee efficaci ovunque per incoraggiare le persone a condurre uno stile di vita più sano. Infine, e forse è la raccomandazione più importante, prendetevi cura del vostro corpo e del vostro cervello: più siete motivati e maggiore è la differenza che potete fare nella vita degli altri.

Qual è la soddisfazione maggiore per un trainer?

Penso che si tratti di una questione personale, che facilmente inciderà sull'intera carriera di un istruttore. Per quanto mi riguarda, la mia più grande soddisfazione deriva dal vedere la gioia sui volti delle persone. Sono felice quando vedo qualcuno che era convinto di essere troppo fuori forma per riuscire a fare 10mila step: o quando sento le storie di persone in tutto il mondo che migliorano la propria autostima e fiducia in sé stesse, attraverso l'esercizio fisico; o quando vedo qualcuno fare cambiamenti nella propria vita quotidiana, grazie ai suggerimenti appresi in palestra: in quel momento so di aver fatto un buon lavoro.



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