Natalità, perché non si fanno più figli?

28 settembre 2023
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Natalità, perché non si fanno più figli?



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Nell'incontro "Natalità work in progress" della Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia di fronte alla domanda dell'intervistatrice Vicsia Portel su quali siano gli interventi prioritari per salvare gli italiani dall'estinzione, Carlo Blangiardo, Presidente Istat, indica politiche che consentano ai giovani di «uscire di casa, oggi lo fa un 30-34 enne ogni cinque, e diventa genitore uno ogni tre. Occorre osare, è un tema culturale, in passato si è fatto anche in assenza di certezze economiche. Tra le risposte che può dare la politica c'è in primo luogo quella di evitare il più possibile che ogni donna con un bambino piccolo debba vivere difficoltà nel suo lavoro». Frasi di incitamento che si scontrano con il differente trattamento di lavoratori e lavoratrici autonomi rispetto ai dipendenti. I contratti di welfare che consentono l'accesso a prestazioni di fondi integrativi (coprendo dagli alimenti speciali del bambino a servizi vari) sono incorporati solo nei contratti della dipendenza, anche se si vanno estendendo a molte fasce di lavoratori e hanno importanti elementi di equità. Spiega Mario Mantovani, Presidente Manageritalia «Sempre più i contratti collettivi prevedono soluzioni di aiuto alla genitorialità finanziate con Fondi sanitari o di previdenza complementare. Il modello è solidaristico: la quota di chi non ha figli va a finanziare la quota di fondo da erogare per chi i figli li ha». Questo "fare comunità" è importante «in un contesto dove il modello organizzativo del lavoro è ricalcato sulle dinamiche dell'uomo e ancora non si è adeguato all'ingresso della donna».

Al contrario, nel lavoro autonomo si parte già con l'handicap che il lavoratore aspirante padre o madre non si può assentare. «Per la maternità, le lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata Inps accedono all'indennità» (380 euro al mese per circa 5 mesi ndr).




La modulistica è complessa, «il numero di domande è cresciuto solo quando nel 2020 a seguito del Covid c'è stata una breve semplificazione», racconta Emiliana Alessandrucci, Presidente COLAP Coordinamento Libere Associazioni Professionali. Altro gap: «Non esistono facilitazioni per il lavoratore autonomo quando diventa papà, né norme per fargli fruire del diritto/dovere alla paternità. Inoltre, nella previdenza, in un campo dove la pensione, magra, può maturare anche oltre i 70 anni, andrebbero riconosciuti alla donna dei contributi figurativi, altrimenti i periodi non lavorati andranno a costituire situazioni di povertà. Infine, i problemi retributivi: la donna tende ad accettare compensi inferiori all'uomo partendo dal presupposto di dover limitare il tempo per l'attività lavorativa; alle colleghe raccomando di fare rete con datrici di lavoro donne».
Martina Bruscagnin, Presidente Vivere Onlusparla della sua esperienza di avvocata e mamma di una bambina prematura. Oggi in questi casi la normativa aggiunge ai 3 mesi post-partum tutti i giorni compresi tra la data del parto prematuro e la data presunta del parto, in modo che di fatto la mamma segua il figlio in terapia intensiva senza pregiudicare il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro previsto per legge. L«'esperienza del parto prematuro fa sentire inadeguata la madre che non è riuscita a portare in grembo fino al termine il figlio, l'umanità di ginecologo ed ostetrica è determinante, eppure l'esperienza "dopo" rende più combattive», dice Bruscagnin.




E si arriva al punto cruciale: il ruolo del ginecologo nell'aiutare la mamma, che è tale indipendentemente dai sostegni economici. I passaggi in cui tale aiuto si concretizza, secondo Sandra Morano, ginecologa, università di Genova riguardano tre elementi: «i luoghi dove si nasce, il ruolo del medico specialista e quello dei decisori politici, incluso il livello manageriale di Asl e regioni. Di recente è sorta, specie negli Usa, una polemica sulla spersonalizzazione degli ospedali che investe i ginecologi. Sull'accoglienza, su luoghi alternativi stiamo lavorando con la collaborazione di filosofi, architetti, figure che hanno riprogettato laboratori e spazi; i decisori politici sono chiamati ad evitare di chiudere gli esperimenti in corso, magari adducendo ragioni di costo. Come società scientifiche e mondo accademico dobbiamo a nostra volta riappropriarci delle "humanities", da recuperare ancor più se pensiamo alla preponderanza delle donne nella nostra attività».





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