Fermo il dolore, non il neurone

17 ottobre 2007
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Fermo il dolore, non il neurone



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A voler intervenire sul dolore, quello grave patologico o associato a procedure chirurgiche, per alleviarlo o per rimuoverlo si rischia di interferire con le altre funzioni, danneggiando la capacità di pensare, di mantenere l'allerta e la coordinazione dei movimenti. Infatti, la maggior parte degli gli anestetici locali per eliminare il dolore bloccano la corrente elettrica in tutte le cellule nervose non solo in quelle sensoriali deputate specificamente al dolore. Ciò accade in quanto sono generalmente molecole non in grado di attraversare le membrane cellulari e per essere efficaci bloccano i canali degli ioni (sodio) e quindi l'eccitabilità di tutti i neuroni.

Canali aperti


Gli sforzi dei National Institutes of Health e del National Institute of Neurological Disorder and Stroke si sono orientati nella direzione di ricerca di una modalità efficace per controllare il dolore, magari cronico, senza invalidare la funzionalità di pazienti costretti a terapie antalgiche per lunghi periodi. E' stata quindi sondata la possibilità di bloccare selettivamente la risposta nervosa dei nocicettori, cioè recettori nervosi che raccolgono e trasmettono stimoli dolorosi, combinando due molecole. Da una parte un derivato della lidocaina, un anestetico locale, il QX-314, teoricamente impermeabile alla membrana cellulare del neurone. Dall'altra la capsaicina che rende permeabile QX-314 a un certo tipo di canali ionici, i TRPV1, che si trovano solo nei neuroni che rispondono gli stimoli dolorosi dovuti al calore. La combinazione tra queste due azioni apre il passaggio al QX-314 che blocca selettivamente solo l'attività dei neuroni in cui può penetrare. L'esperimento è stato realizzato prima in vitro con neuroni isolati, e poi su modelli animali: nelle cavie la sensibilità al dolore era molto meno accentuata, mentre restavano invariate le restanti funzionalità di movimento e comportamento. Gli esperti parlano di un possibile uso nell'anestesia locale durante il parto, la chirurgia o le procedure dentali ma non si escludono applicazioni nel trattamento del dolore cronico e del prurito dovuto a eczema o a contatto con piante urticanti.

Scottanti effetti collaterali


Gli stessi autori, tuttavia, come pure gli editorialisti del Lancet si interrogano sugli effetti collaterali della capsaicina, che nella fattispecie è la sostanza contenuta nel peperoncino e che lo rende notoriamente piccante. La molecola provoca, infatti, un effetto di bruciore che resta finché il QX-314, l'anestetico vero e proprio non agisce. Un'irritazione dovuta proprio all'azione attivante sui nocicettori, ma che dopo ripetute e lunghe applicazioni tendono a desensibilizzarsi. Non a caso le creme contenenti capsaicina vengono applicate per nevralgia, neuropatia diabetica, artrite e artrite reumatoide. Si domandano quindi quanto possa essere opportuno il suo impiego clinico, gli autori della ricerca suggeriscono l'escamotage di somministrare l'anestetico dieci minuti prima della capsaicina. Gli editorialisti di Lancet, molto più scettici, consigliano di lasciare il peperoncino in cucina dal momento che l'efficacia nel trattamento del dolore neuropatico o muscoloscheletrico è risultato moderato o scarso nonché reso discontinuo dalla sensazione di bruciore poco confortevole. Chiaramente, l'obiettivo dei ricercatori è trovare il modo di evitare il bruciore, magari trovando un'alternativa alla capsaicina, e per ora il bicchiere resta a tutti gli effetti mezzo pieno o mezzo vuoto.

Simona Zazzetta



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