Antiacidi da hit parade

11 gennaio 2008
Aggiornamenti e focus

Antiacidi da hit parade



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Gli inibitori di pompa protonica (PPI), farmaci impiegati per ridurre la secrezione di acidi gastrici, non sono un caso solo italiano, anzi. Lo prova la pubblicazione sul British Medical Journal nientemeno che di un editoriale dedicato alla prescrizione di questa classe di farmaci. L'editoriale parte da un dato nazionale: il 90% della spesa, a carico del National Health Service, per il trattamento di in generale di tutte le forme di dispepsia è rappresentato dai PPI. Un po' troppo è il primo commento degli autori, soprattutto considerando che i meno costosi ma efficaci H2 antagonisti sarebbero indicati per buona parte delle persone in trattamento. Nel 2006, la spesa per questi medicinali ha superato i 9 miliardi di euro a livello globale.
Visto il costo più elevato rispetto agli altri antiacidi, proseguono, non deve meravigliare che la prescrizione sia stata assoggettata a precise linee guida in parecchi paesi. Linee guida, va detto, poco rispettate anche nel resto d'Europa, a conferma che l'Italia fa meno a sé di quanto comunemente si creda. E' vero che la maggior parte delle prescrizioni improprie si verifica nel setting della medicina di famiglia, ma anche nel setting specialistico le cose non vanno meglio. Secondo tre studi condotti in Australia, Repubblica d'Irlanda e Gran Bretagna, la percentuale dei pazienti ospedalizzati che assumono PPI quando non vi sarebbe un'indicazione corretta è pari, rispettivamente, al 63% al 33% e al 67%. Con l'eccezione dell'Irlanda, nella maggior parte di casi non sarebbero necessari. Un dato ancora più curioso è che il transito per l'ospedale costituisce il viatico all'inizio della prescrizione: secondo una ricerca statunitense, solo il 20% dei pazienti assume inibitori di pompa al momento del ricovero, mentre al momento delle dimissioni circa la metà ha cominciato l'assunzione.

Sull'efficacia non si discute, però...


Si potrà obiettare che magari nel corso di accertamenti e interventi è emerso che il farmaco era necessario ma, secondo lo studio, andando a una verifica il 90% dei pazienti non ne aveva realmente bisogno, "a meno che non si ritenga che l'aver sofferto in passato di episodi di reflusso gastro-esofageo sia ritenuta un indicazione sufficiente". Probabilmente a questa iperprescrizione ospedaliera in ambito anglosassone potrebbe contribuire anche la volontà di evitare controversie con lo stesso paziente: magari tenuto ad assumere tre o quattro farmaci al giorno, gli si prescrive l'antiacido per evitare che possa presentarsi l'avvocato lamentando danni gastrici del suo assistito, e siccome il profilo di sicurezza dei PPI è molto buono... Di fatto, oggi in tutto il mondo dal 25 al 70% delle persone che assumono PPI non ne hanno effettivamente necessità e potrebbero rivolgersi senza danno a qualsiasi altro antiacido.
Effettivamente, chiariscono gli autori, questa classe di farmaci ha costituito una rivoluzione terapeutica, permettendo di trattare situazioni resistenti agli altri farmaci: dal reflusso gastroesofageo grave alla prevenzione del danno gastrointestinale dovuto ad altri medicinali, per non parlare del loro ruolo nel trattamento dell'ulcera (in associazione agli antibitiotici attivi sull'Helicobacter pylori). Il nodo, concludono gli autori, è prevalentemente economico, anche se qualche raro effetto collaterale non manca e non va sottovalutato. Però, va detto, l'arrivo delle versioni generiche anche per la molecola per lungo tempo più impiegata, l'omeprazolo, ha teso nel tempo ad abbassare la spesa complessiva. Certo: se è inutile, anche una spesa in calo è comunque eccessiva e poi, tornando all'Italia, bisogna che il generico venga prescritto davvero.

Maurizio Imperiali



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