Pubblicità immaginifica

17 gennaio 2003
Aggiornamenti e focus

Pubblicità immaginifica



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Una ricerca condotta negli Stati Uniti dai National Center for Health Statistics dimostra che dal 1985 al 1999 è aumentata la probabilità che una visita medica si concluda con la prescrizione di un medicinale. Se, infatti, nel 1985 c'era il 61% di probabilità che un paziente andasse dal medico e si vedesse prescritto un farmaco, nel 1999 questa probabilità è salita al 66%. Un trend che riguarda tutte le età e tutti i tipi di farmaco, tranne gli antibiotici. Che cosa significano questi dati? Una possibile lettura riguarda l'invecchiamento della popolazione e l'aumentato bisogno di medicine, ma ha il suo peso anche l'aumentata efficacia dei farmaci presenti sul mercato. Due letture fondate ma che non bastano a spiegare il trend ascendente. Aumentata prescrizione va di pari passo, infatti, con aumentata pubblicità. I farmaci più pubblicizzati sono così, non a caso, quelli prescritti con maggiore frequenza. Due i principali target della pubblicità farmaceutica: da una parte il medico dall'altra il pubblico

Il grande inganno


Così Lancet ha definito slogan e propaganda riguardanti farmaci che compaiono su riviste specializzate. Una denuncia del conflitto d'interessi spesso esistente, ma non la prima di questo tipo. Già nel 1992 sulla rivista Annals of Internal Medicine ci fu un'indagine sull'effetto della pubblicità delle case farmaceutiche. Fu evidente che la pubblicità di un farmaco, che appariva su di un'intera pagina delle 10 più importanti riviste mediche, conteneva affermazioni che inducevano i medici a prescriverlo impropriamente, o perché il farmaco non era stato sufficientemente provato, o perché esistevano alternative più efficaci, meno costose e meno pericolose per il malato. Un aspetto ribadito da un successivo articolo sempre sugli Annals nel quale Krimsky ed altri colleghi, analizzando 789 articoli di scienziati di università del Massachusetts pubblicati in riviste mediche prestigiose nel 1992, trovarono l'esistenza massiccia di interessi corporativi nelle pubblicazioni scientifiche. Ammettendo anche lo scenario, peraltro riduttivo, di medici come vittime innocenti delle pressioni delle multinazionali, va detto che il più delle volte le finalità commerciali hanno il sopravvento sulla teorica preparazione scientifica dei medici. Una ricerca francese, commissionata dal consorzio della stampa medica e pubblicata sulla Revue francaise du marketing, mostra che tra i motivi che determinano la scelta di un prodotto al momento della prescrizione primeggia la notorietà del marchio. E i camici bianchi risultano particolarmente sensibili agli aspetti non sostanziali dell'immagine pubblicitaria. In pratica aggettivi come dinamico, ottimista o generoso hanno più influenza delle credenziali scientifiche di un farmaco.

Informatori o computer?


Un altro veicolo di cui tradizionalmente si servono le aziende farmaceutiche per far pervenire ai medici le proprie informazioni sono gli informatori medico-scientifici. Una figura sempre più specializzata, ormai è d'obbligo la laurea scientifica, che in una certa zonageografica è responsabile di tutti i medici praticanti o, nel caso si occupi di un gruppo terapeutico di farmaci, di medici specialisti. Anche questa figura professionale, peraltro, non è esente da polemiche a proposito del cosiddetto comparaggio, la pratica per cui taluni medici, farmacisti ed altri operatori sanitari accettano denaro, premi e donazioni varie dagli informatori in cambio della prescrizione di farmaci. Basti per tutte una recente dichiarazione di Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri:"gli informatori hanno il compito di illustrare i vantaggi dei propri farmaci rispetto a quelli offerti dai prodotti dei concorrenti; poiché sono pagati e fanno carriera sulla base dell'aumento delle vendite, è assai improbabile che nelle loro conversazioni si soffermino ad illustrare gli effetti tossici o i punti di debolezza dei loro prodotti...." e ancora"......la pressione propagandistica si traduce in una cifra che va dal 30 al 50% di medicine non necessarie". Ma la prossima frontiera sono i messaggi multimediali via computer"automatici". Infatti esistono appositi software in grado di dare informazioni sui componenti dei loro prodotti, mentre i medici stanno lavorando e magari scrivendo sul loro computer palmare le ricette per i pazienti. Una tecnologizzazione dell'informazione medico scientifica che è costata lo scorso anno 9 miliardi e trecento milioni di dollari contro i 2 miliardi e mezzo spesi per raggiungere direttamente i consumatori.

E il pubblico?

Attualmente la pubblicità diretta al consumatore è ammessa solo negli USA e in Nuova Zelanda. Nel 1985 la Food and Drug Administration (FDA) permise la promozione diretta al consumatore a condizione che fosse equilibrata e aperta. Nel 1997 poi è arrivata una svolta quando l'FDA ha ritenuto non più indispensabili informazioni come indicazioni ed effetti collaterali del farmaco. E proprio dal 1997 le spese sulla pubblicità dei farmaci sono andate lievitando.La pubblicità interessa l'intero spettro delle malattie, male patologie più considerate sono quelle che non mettono a repentaglio la vita, calvizie e allergie inparticolare. E le pubblicità dirette al consumatore sono accolte con favore dal pubblico. Gli esperti sostengono che la pubblicità su media non specialisticiaumenti la credibilità di un prodotto. Il National Institute for Healthcare Management ha riportato che la spesa di farmaci è aumentata di 20,8 miliardi di dollari dal 1999 al 2000, e quasi il 48% dell'aumento era il risultato delle vendite dei 50 farmaci con i budget pubblicitari maggiori.
E in Europa? Attualmente la pubblicità è consentita, in base alla direttiva 92/28 del 31 marzo 1992, per i medicinali che possono essere utilizzati senza intervento di un medico per la diagnosi, la prescrizione o la sorveglianza nel corso del trattamento, in pratica quelli esenti dall'obbligo della ricetta medica. Una situazione che sarebbe potuta cambiare per effetto della proposta di modifica della direttiva europea, respinta nell'ottobre scorso, che prevedeva la liberalizzazione sperimentale per cinque anni, di farmaci etici per la cura di tre malattie: asma, diabete, HIV-AIDS. Una svolta che avrebbe trasformato il farmaco, come negli Stati Uniti gia è, in un prodotto di consumo qualsiasi.
Sulla questione non mancano i contrasti. Se da una parte i rappresentanti dell'industria farmaceutica ritengono sia diritto del cittadino europeo conoscere che cosa offre il mercato farmaceutico, dall'altra gli oppositori pensano che la liberalizzazione creerebbe aumento della spesa farmaceutica, uso non appropriato dei farmaci, nuove malattie e falsi pazienti. Quello che è certo è che, per dare avvio alla liberalizzazione, sarebbero necessarie informazioni imparziali e complete. E l'articolo apparso su Lancet non depone certo a favore della comunicazione così come è fatta.

Marco Malagutti



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