Ossa neonate da allungare

01 marzo 2006
Aggiornamenti e focus

Ossa neonate da allungare



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La sequenza di Pierre Robin, alla maggioranza, non dice nulla. Magari, aggiungendo che è un difetto analogo alla palatoschisi, si comincia a vederci più chiaro. Descritta dal pediatra francese da cui prende il nome nel 1923, è una malformazione facciale, su base genetica, che è caratterizzata oltre che dalla mancata chiusura del palato, dalla mandibola anormalmente corta (brachignatia o micrognatia), che impedisce il corretto attacco della lingua, che risulta più basso. Di conseguenza, in posizione supina, la lingua tende a ripiegarsi all’indietro provocando quantomeno difficoltà respiratorie che si aggiungono a quelle di deglutizione causate dalla palatoschisi. Non è raro che in questi casi si ricorra alla tracheotomia per consentire un’adeguata respirazione. Si tratta di una malattia rara, su base genetica, che può anche accompagnarsi ad altre anomalie, sempre genetiche.

Aggiunte ossee
E’ evidente che una malformazione di questa importanza ha anche gravi conseguenze sullo sviluppo del bambino. La soluzione è ovviamente chirurgica e di fatto consiste nel provocare l’allungamento della mandibola. Per farlo si ricorre a una tecnica analoga a quella impiegata per l’allungamento delle altre ossa (per esempio i femori). L’osso viene sezionato perpendicolarmente alla direzione dell’allungamento ricercato, dopodiché i due tronconi vengono tenuti in posizione mediante dispositivi, chiamati distrattori, che possono essere regolati così da allontanare progressivamente le due estremità mentre l’osso si sta ritornando, così da ottenere il risultato voluto. Ovviamente sia il taglio dell’osso, sia il posizionamento dei distrattori, uno su ciascun lato della mandibola, richiedono una grande precisione e, attualmente, la possibilità di ottenere immagini tridimensionali dello scheletro facciale ha reso più semplice, ed efficace, il lavoro dei chirurghi. I distrattori provocano inevitabilmente dei disagi ai bambini e un’inevitabile sofferenza ai genitori.

Pochi millimetri alla volta
Fortunatamente le procedure sono in costante evoluzione, e così uno studio pubblicato sugli Archives of Facial Plastic Surgery, illustra i buoni risultati ottenuti con dispositivi più piccoli, chiamati microdistrattori, praticamente invisibili dall’esterno. Infatti, il distrattore vero e proprio è avvitato all’osso, mentre l’attuatore, cioè la parte del dispositivo che provvede ad allontanare i due capi ossei, viene inserita attraverso una piccola incisione nella zona dietro l’orecchio. Una volta applicati i distrattori e gli attuatori, le incisioni sui due rami della mandibola vengono richiuse e il distrattore può essere azionato da dietro l’orecchio. L’intervento richiede una degenza di soli due giorni. Sarà poi chi si prende cura del bambino a procedere all’azionamento del distrattore. Si tratta infatti di aprire di 0,6 mm il distrattore tre volte al giorno (1,8 mm totale). I distrattori normalmente impiegati consentono un allungamento fino a 20 mm, ma comunque la procedura termina quando la linea della gengiva della mandibola ha superato di 2-3 millimetri quella della mascella. Dopo un periodo di 6 settimane l’osso si è consolidato e si può procedere alla rimozione dei due distrattori, riaprendo le precedenti incisioni, allungandole posteriormente, visto che il distrattore è stato a sua volta allungato. I casi trattati nello studio erano 8, e per tutti l’esito è stato positivo. I possibili inconvenienti sono quelli comuni a qualsiasi intervento chirurgico e, in più, la possibilità di infezioni nella sede dell’asta di distrazione dietro l’orecchio. Tuttavia i potenziali inconvenienti sono inferiori a quelli che si riscontrano con l’uso di dispositivi esterni.

Maurizio Imperiali



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