SLA, freni al litio

20 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus

SLA, freni al litio



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Si apre uno spiraglio per il trattamento della sclerosi laterale amiotrofica (SLA), e grazie a un farmaco consolidato in altro ambito terapeutico. Il tutto a vanto della ricerca italiana. La SLA come noto è una malattia neurodegenerativa progressiva che ha un impatto devastante e in genere ha esito letale a 3-5 anni dalla diagnosi (11 mesi per la forma bulbare); non si dispone di trattamenti validi per cercare di fermarne l'avanzamento e l'unico in uso, il riluzolo, sembra avere scarsa efficacia. Una speranza viene ora suscitata dal litio, sostanza impiegata come stabilizzante dell'umore nel disordine bipolare, che in una sperimentazione sull'uomo si è mostrata in grado di rallentare significativamente la progressione della SLA. E' il risultato incoraggiante di una ricerca condotta in collaborazione tra l'Università di Pisa, l'Istituto neurologico mediterraneo (Neuromed) di Pozzilli (IS), la Fondazione Santa Lucia di Roma e l'Università di Novara, appena pubblicata sulla rivista statunitense PNAS. Una ricerca che aggiunge anche elementi per una migliore comprensione dei meccanismi della malattia e dell'azione del litio (che ha anche il vantaggio del basso costo) e nell'ottica di possibili nuove strategie terapeutiche.

Effetto neuroprotettivo complesso


La sclerosi laterale amiotrofica è nel 90% dei casi sporadica e il restante 10% è quindi familiare (fSLA); nel 20% di quest'ultima è causata da mutazioni del gene per un enzima (SOD1) che contrasta lo stress ossidativo, infatti topi transgenici che sovraesprimono il SOD1 mutante umano sviluppano una patologia molto simile alla SLA nell'uomo. Trovato questo modello della malattia si sperava di arrivare a trattamenti, ma i trial non hanno condotto a risultati clinicamente efficaci. L'idea di saggiare il litio è derivata dalle osservazioni sulla sua azione neuroprotettiva in diversi modelli di malattia, per esempio l'ischemia cerebrale. Gli autori della nuova ricerca, usando questi modelli e colture in vitro di cellule nervose avevano in precedenza dimostrato, per la prima volta, che nella SLA ha un ruolo importante l'autofagia. Questa è un'autodigestione selettiva di cellule danneggiate, per esempio mitocondri, che permette di riutilizzarne il contenuto, e ha un effetto protettivo nella neurodegenerazione. Gli stessi autori avevano anche dimostrato che il litio aveva la capacità di promuovere l'autofagia, inoltre che poteva stimolare la formazione di nuovi neuroni, ridurre la dannosa attivazione di altre cellule (quelle gliali) e diminuire la presenza degli agglomerati proteici, tossici per le cellule nervose. Sulla base dei promettenti dati sull'effetto neuroprotettivo del litio nel modello murino della SLA, i ricercatori sono quindi passati alla verifica nell'uomo, con l'attuale trial giunto al termine nel suo secondo anno.

In vita dopo 15 mesi


I 48 malati di SLA partecipanti allo studio, arruolati nell'ottobre 2005, sono stati trattati con il litio carbonato più riluzolo oppure con solo riluzolo (controlli). Alla fine del trial cioè a 15 mesi tutti i pazienti del gruppo litio erano in vita (nonostante metà con la forma bulbare), mentre il 30% dei controlli era deceduto; la differenza era già significativa a 12 mesi. Misurando poi ogni tre mesi l'evoluzione della malattia, con la scala di Norris e la ALSFRS-R non si è evidenziata alcuna significativa progressione in nessuna fase, né si è evidenziata con un parametro obiettivo come la funzione polmonare (FVC), eccetto una misurazione con la scala MRC alla fine del periodo di osservazione. Nel confronto tra i due gruppi al termine dello studio in quello con solo riluzolo il peggioramento del punteggio era del 50%, contro il 10% del litio, in questi anche la qualità di vita misurata con scala FS-36 era immodificata. Nello studio parallelo nel topo transgenico si è dimostrato che la marcata neuroprotezione operata dal litio ritardava l'esordio della malattia e aumentava la durata della sopravvivenza. L'insieme delle azioni di rallentamento del danno e di recupero attraverso incremento dei mitocondri e dei neuroni contribuisce dunque a spiegare gli effetti del litio, aprendo forse a nuove terapie. Tra l'altro gli stessi meccanismi d'azione del litio potrebbero trovare applicazione nel Parkinson, malattia che ha molti punti in comune con la SLA, ed è già stata annunciata l'intenzione di studiare questa possibilità. Intanto la ricerca sulla SLA continua, è già avviata la sperimentazione del farmaco su un altro centinaio di malati.

Elettra Vecchia



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