Piante medicinali: specie a rischio?

06 febbraio 2004
Aggiornamenti e focus

Piante medicinali: specie a rischio?



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Il boom delle piante medicinali, si calcola che in Italia i seguaci della fitoterapia siano oltre il 15% della popolazione, porta con sé dei rischi. Ma non si tratta solo di rischi per la salute. Secondo una ricerca pubblicata su New Scientist, infatti, le piante utilizzate rischiano di estinguersi.

Una minaccia incombente


La minaccia riguarda sia gli habitat naturali sia la salute di milioni di persone dei paesi in via di sviluppo, nei quali queste erbe vengono raccolte. Del resto ormai non c'è malattia che non abbia il suo farmaco a base di erbe o di piante e almeno due terzi delle 50000 piante medicinali in uso sono raccolte allo stato brado, con la conseguente minaccia per molte di queste specie. Lo studio è stato curato da un ricercatore del WWF, Alan Hamilton, che sottolinea come l'espansione del mercato fitoterapico sia considerevole, circa il 10% per anno nell'ultimo decennio, con cifre che a livello mondiale sono ormai miliardarie. Ma la gran parte delle piante vengono sradicate dalle foreste di paesi come la Cina e l'India, la cui sussistenza viene messa a dura prova dall'estinzione di questa flora. E tutto nel disinteresse delle industrie produttrici. Hamilton ha così realizzato un dossier in cui viene lanciato l'allarme e si chiedono, senza mezzi termini, l'avvio di coltivazioni e l'adozione di sistemi di raccolta più responsabili. Gli esempi non mancano.

Piante sempre più rare


Secondo lo studio, l'uva ursina, utilizzata per trattare disturbi renali e digestivi, è diventata rara in gran parte dell'Europa orientale, perché le piante vengono sradicate intere, nonostante servano solo le foglie. Fra le specie in via d'estinzione, poi, ci sono la tetu lakha (Nothatodytes foetida), un albero che cresce nell'India meridionale e in Sri Lanka e usato in Europa per la produziione di farmaci anti-cancro. E ancora l'erba sega (Saussurea lappa), una radice indiana a cui si ricorre per problemi cutanei cronici, e la fritillaria (Fritillaria cirrhosa), tradizionalmente assunta in Cina contro le infezioni respiratorie.

Le colpe dell'industria

La crisi che incombe da anni - continua il rapporto - ora è pronta a esplodere nel disinteresse delle industrie di settore, che non si sono mai preoccupate della sostenibilità delle loro richieste. Basti pensare che 11 delle 16 compagnie britanniche raccolgono le piante allo stato selvatico. Non sono mancate le repliche immediate. Un importante gruppo di cosmesi naturale britannico, pur ammettendo l'utilizzo di piante selvatiche ha sostenuto anche di essere consapevole del danno ambientale e della necessità di una filosofia di protezione della flora e della fauna. Sarà, ma vista la minaccia incombente si può sicuramente fare di più. Lo ribadisce su New Scientist un altro esperto di settore, Gerard Bodeker, che anzi rincara la dose, accusando un sistema diffuso di pratiche insostenibili e spesso distruttive, il più delle volte condizionato dalle mode del momento. Come a dire che si sfrutta una risorsa naturale finché serve per poi abbandonarla al suo destino. Sono infatti le crescenti pressioni commerciali ad aver depauperato, per esempio, intere foreste per poter beneficiare della Prunus africana, impiegata nella cura dei disturbi delle vie urinarie e in particolare nell'ipertrofia prostatica delle persone anziane. È urgente, perciò, conclude lo studio di New Scientist che l'industria investa nelle coltivazioni in modo consapevole. E del resto gli stessi consumatori, persone di cui si presume una certa sensibilità ambientale, acquisiscano più consapevolezza ed educazione in materia. Solo così si può sperare di arrestare l'impoverimento di queste risorse.

Marco Malagutti



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