Stretching si...ma al lavoro

21 aprile 2004
Aggiornamenti e focus

Stretching si...ma al lavoro



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Stretching, riscaldamento, potenziamento, termini entrati ormai nell'uso comune e considerati da tutti gli sportivi, professionisti e non, come basilari nella preparazione di una gara. Ogni evento sportivo è, così, l'occasione per osservare i partecipanti, con l'ausilio dei loro allenatori, inventarsi contorsioni sempre nuove a beneficio dei muscoli più improbabili. Ma serve davvero? Secondo uno studio, presentato allo Health and Fitness Summit dell'American College of Sports Medicine, la risposta sarebbe negativa: lo stretching prima di una competizione sportiva non riduce il rischio di infortuni, strappi o contratture muscolari.

Gli studi sull'argomento


Non si tratta del primo studio in materia. Già una precedente review sistematica delle pubblicazioni, aveva identificato 293 articoli sull'argomento, includendo, però, solo quelli con un gruppo di controllo. Tre studi clinici prospettici mostravano effetti positivi dello stretching, seppureassociata a contemporanea azione di riscaldamento. Un quarto studio evidenziava una riduzione dei problemi all'inguine e alle natiche nei ciclisti, ma solo tra le donne. Di contro altri cinque studi, di cui tre prospettici, non hanno riscontrato sostanziali differenze nel tasso di infortuni e, anzi, tre di questi lavori hanno addirittura suggerito un potenziale effetto dannoso degli esercizi di allungamento. La ricerca più corposa sull'argomento, però, è stata pubblicata di recente dal British Medical Journal. Un gruppo australiano ha effettuato la metanalisi di tutti i lavori pubblicati in inglese dal 1966 al 2000, investigando gli effetti dello stretching pre e post gara sugli incidenti muscolari e sulla performance atletica. Cinque gli studi presi in considerazione per un totale di 77 individui e una conclusione univoca: i benefici indotti dallo stretching sono così esigui da renderlo poco adatto al titolo di strumento preventivo.

Stretching in ufficio


Sulla stessa lunghezza d'onda l'ultima indagine statunitense secondo la quale in materia di stretching si è arrivati a un livello di competenze sufficienti a sostenerne la sostanziale inutilità. Anzi allo stato attuale di conoscenze si può concludere che nei primi 10-15 minuti lo stretching indebolisce la muscolatura e può aumentare il rischio di infortunio. Inoltre nella maggior parte dei casi l'allungamento pre-gara non migliorerebbe la performance atletica, al contrario. Quanto basta per demolire una delle principali convinzioni di tutti gli sportivi.
Una delusione probabilmente per chi fa sport a tempo pieno e considera queste pratiche come piuttosto comuni, ma d'altra parte non una grande sorpresa se si considerano le proprietà meccaniche dei tessuti molli e la loro risposta a carichi ciclici. Non sono pochi del resto, come non mancavano di sottolineare gli editorialisti della ricerca pubblicata sulBMJ, i quesiti senza risposta nell'area medico sportiva. Tutta la pratica comune, infatti, nella gestione degli infortuni è più basata su conoscenze empiriche che non su trial clinici. Gli esempi più comuni vanno dall'uso del ghiaccio subito dopo l'infortunio muscolare al ricorso a un bendaggio rigido per ridurre il gonfiore. Un'ancora di salvezza, però, per i fautori dello stretching esiste ed è rappresentata dai benefici per coloro che mantengono, per esempio, lungamente la posizione seduta. Introdurre stretching quotidiano nella vita di ogni impiegato potrebbe migliorare le sensazioni fisiche e ridurre i giorni di malattia. Un indubbio vantaggio economico, perciò, per i datori di lavoro che potrebbero introdurre nei regolamenti aziendali la seduta distretching. Se ci vuole la flessibilità...

Marco Malagutti



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