La guerra continua

20 dicembre 2007
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La guerra continua



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I venti di guerra non accennano ad affievolirsi, e, mentre i Governi continuano a cercare pretesti, interessi e motivazioni per proseguire ed estendere il conflitto a nuovi territori, la scienza e la ricerca tirano le somme dei costi delle operazioni belliche. Costi umani e sanitari, e alle vite umane perse vanno aggiunte anche le vite di persone che tornate in patria, sane e salve, devono superare o convivere con quello che nella pratica psichiatrica viene chiamato disturbo post-traumatico da stress e non solo. Guerra in Vietnam, guerra del Golfo e ora anche guerra in Iraq, guerra in Afghanistan, cambiano le guerre, ma ciò che i soldati portano a casa ha sempre il sapore amaro dei problemi mentali. E il Governo americano non sembra fare molto per porvi rimedio.

Mai più come prima


Non stupisce, anche se dovrebbe in ogni caso, l'aumento del numero di casi di suicidi denunciato dal network televisivo americano CBS: nel 2005 si sono tolti la vita 6256 ex-militari veterani non solo dell'Iraq o dell'Afghanistan, con un tasso quattro volte superiore rispetto alla media dei coetanei. L'emittente denuncia anche le problematiche economiche e sociali di una categoria che incontra difficoltà nel trovare lavoro e spesso finisce per vivere di espedienti: un homeless su quattro, negli Stati Uniti è un ex-combattente dei due conflitti più recenti.
Tuttavia un rapporto pubblicato nel giugno 2007 ha rilevato nel sistema per la salute mentale del Dipartimento della Difesa, un sottodimensionamento del servizio senza risorse adeguate rispetto a un carico di lavoro eccessivo. Un quadro che già sulla carta farà fatica a dare risposte opportune a una percentuale di soldati bisognosi di trattamenti specifici per la loro salute mentale che oscilla tra il 20,3 e il 42,4%. I programmi di screening, secondo gli esperti, vanno pensati con periodicità opportuna e sostenuti da studi clinici per accertare il rischio a cui queste persone vanno incontro e i benefici che possono trarre da interventi specifici.

Il trauma altera il cortex


Studi più specifici condotti su questa particolare popolazione di cittadini ha spesso portato a evidenziare difficoltà psichiatriche oggettive e codificabili, per esempio, il disturbo da stress post-traumatico. Rientra nei disturbi da ansia che si può verificare in persone esposte a un evento traumatico e nel quadro dei comportamenti rientrano l'irritabilità cronica, l'evitamento di stimoli correlati all'evento e una predisposizione a riviverlo. Ma può anche alterare la soglia di percezione, in alcune indagini cliniche è stato osservato che la aumentava, rispetto a un campione di controllo e che il dolore cronico era un sintomo comunemente riferito. In altri casi, invece, i pazienti riportavano una riduzione dell'intensità del dolore dopo essere stati esposti a un elemento che ricordava il trauma vissuto. Ciò accade perchè l'esperienza del dolore non è semplicemente il prodotto finale di un sistema lineare di trasmissioni sensoriali, ma piuttosto un processo dinamico che coinvolge interazioni con il sistema nervoso. Quindi non è possibile considerare solo l'aspetto sensoriale, ma anche altre componenti identificate a livello psicologico e nervoso. I dati raccolti su un piccolo campione di 12 reduci di guerra con il disturbo da stress post-traumatico e 12 reduci senza questo problema, vanno nella direzione di una riduzione della sensibilità al dolore, in questo caso un calore intenso applicato alla mano con variazioni sperimentali tra i 40 e i 48°C. Nei soggetti con il disturbo si osservava una riduzione dell'attivazione dell'amigdala destra, un'area cerebrale con un ruolo importante nel processo di analgesia e nella prevenzione del dolore (antinocicezione). Non è l'unica area interessata dall'alterazione funzionale al ribasso, tra le altre, una parte della corteccia prefrontale, già nota per essere implicata nella regolazione o inibizione della sofferenza.
La ridotta attività delle due strutture cerebrali è stata chiamata in causa come possibile spiegazione che riflette l'alterazione dei meccanismi di regolazione del dolore nei pazienti con disturbo da stress post-traumatico. Tali informazioni possono trovare spazio nella gestione clinica di soggetti che hanno vissuto eventi traumatici nel corso della loro vita, dal momento che il dolore può essere uno dei tanti aspetti delle conseguenze. Mentre ulteriori considerazioni si potrebbero fare su come il governo americano gestisce il finanziamento dei conflitti che esso stesso promuove e sperare che in un futuro prossimo destini maggiori risorse ai servizi per la salute mentale. O magari che faccia meno guerre.

Simona Zazzetta



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