Per l'obeso c'è poco in farmacia

27 aprile 2007
Aggiornamenti e focus

Per l'obeso c'è poco in farmacia



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Sarebbe indubbiamente utile poter disporre di un trattamento farmacologico standardizzato per l'obesità. E' evidente, infatti, che le modificazioni dello stile di vita, che probabilmente da sole potrebbero bastare, si scontrano con una serie di ostacoli pratici, psicologici e anche economici che ne rendono l'applicazione efficace abbastanza ardua, almeno nei paesi industrializzati. I quali peraltro sono quelli che presentano le maggiori necessità al riguardo. Purtroppo, anche per la molteplicità dei meccanismi coinvolti nell'obesità, genetici e no, l'idea che si possa approntare una classe di farmaci risolutivi, come gli antibiotici per le infezioni batteriche, è finora stata frustrata. Così oggi si dispone di alcuni medicinali, pochi: solo tre, dal meccanismo d'azione differente e dall'efficacia non eccezionale. La situazione, dunque è stata affrontata da una lunga review pubblicata da Lancet.

Un'azione periferica


Il primo farmaco affrontato è l'orlistat, sostanza che a breve sarà disponibile come prodotto da banco negli Stati Uniti. La sua azione si esplica nell'inibire le lipasi gastriche e pancreatiche, enzimi che sono fondamentali per l'assimilazione dei grassi. Di fatto, i lipidi contenuti negli alimenti passano attraverso il sistema digerente in larga misura...indigeriti, ragion per cui non apportano calorie. Il farmaco non ha un'azione sistemica o centrale: lavora nell'intestino e viene anch'esso quasi totalmente espulso con le feci senza metabolizzazione. Pochi quindi gli effetti collaterali, fatta eccezione per la diarrea (steatorrea) che si presenta soprattutto quando la persona è abituata a una dieta molto ricca di grassi. L'inconveniente è la bassa efficacia. La review dà per probabile una quota di pazienti che hanno perso il 5% e il 10% del peso iniziale pari rispettivamente al 21 e al 12% in più rispetto al placebo. In compenso si è rilevata un certa diminuzione dell'incidenza del diabete di tipo 2 (meno del 3%). Però, studi a lungo termine, oppure mirati alla prevenzione delle conseguenze maggiori dell'obesità, diabete a parte, non ce ne sono ed è forte l'abbandono da parte dei pazienti con il passare del tempo.
L'altro farmaco da tempo in uso è la sibutramina che, come molti altri impiegati in precedenza, agisce a livello centrale, cioè sui neurotrasmettitocri coinvolti nella ricerca del cibo (la spinta a mangiare, l'appetito, insomma). La sibutramina agisce inibendo la ricaptazione di due neurotrasmettitori, serotonina e noradrenalina, esattamente come alcuni antidepressivi di ultima generazione e, infatti, come antidepressivo era stato studiato inizialmente. Oltre a ridurre l'appetito, la sibutramina riuscirebbe ad aumentare la termogenesi, cioè a far consumare più energia, ma pare che questo secondo aspetto pesi poco nella perdita di peso indotta dal farmaco. In questo caso i risultati sono un po' migliori, la quota di pazienti che hanno perso il 5% e il 10% del peso iniziale è pari rispettivamente al 34 e al 15%. Gli effetti indesiderati più comuni sono insonnia, nausea, secchezza delle fauci e stipsi. Non ci sono gli effetti più gravi, tipici di altre molecole che però aumentavano la produzione di serotonina, come l'ipertensione polmonare. E' vero che ci furono casi di ipertensione e altri disturbi cardiovascolari, ma il legame con il farmaco non venne mai provato e, alla fine, l'Agenzia del farmaco europea (EMEA) ha ritenuto che il rapporto tra rischi e benefici fosse vantaggioso. Rimane però la controindicazione a ipertesi e cardiopatici.

Il contrario della cannabis


Infine vi è un farmaco nuovo, il rimonabant, che ha un'altra azione ma sempre centrale. Infatti, va a inibire i recettori dei cannabinoidi, cioè quelli che vengono eccitati, per esempio, dal consumo di marijuana. Infatti la scoperta di poter utilizzare questa via veniva dalla constatazione che chi assume la cannabis sperimenta anche un aumento dell'appetito. Quindi, si è detto, inibendo le chiavi attraverso le quali agisce la cannabis si dovrebbe ottenere il contrario. Ma rimonabant ha anche un'azione periferica. Facendo aumentare il consumo di ossigeno da parte dei muscoli scheletrici (quelli del movimento), ostacolando la formazione di lipidi e anche di adipociti (le cellule del tessuto adiposo) e altro ancora. Per queste sue proprietà, la sostanza è stata proposta anche per il trattamento del diabete. I dati, naturalmente, sono meno numerosi, visto che la molecola è più recente. Per tenere il confronto, la quota di pazienti che hanno perso il 5% e il 10% era più alta rispettivamente del 29-39% e del 17-25% rispetto al placebo. Inoltre, miglioravano i parametri che risentono dell'obesità: iperlipidemia, ipertensione situazione diabetica o prediabetica. Gli effetti collaterali più frequenti sono stati, nei quattro studi condotti, nausea, vertigini, insonnia e diarrea. Più grave, forse, il fatto che sintomi depressivi si siano presentati all'interruzione del trattamento. Però, visto il numero di pazienti trattato, non enorme, è arduo trarre conclusioni.
In sostanza, dice l'articolo, non c'è da aspettarsi molto da un approccio farmacologico. Tuttavia qualcosa c'è, quindi se una persona ha un'indice di massa corporea superiore a 30, o superiore a 27 ma con una malattia dovuta a obesità, il farmaco può e deve essere affiancato a dieta e, soprattutto, attività fisica. L'Orlistat può essere la prima scelta per chi ha il colesterolo cattivo alto (LDL) e magari soffre già di cuore. La sibutramina può essere una scelta migliore se il principale ostacolo al dimagrimento è la continua fame e il ricorso a frequenti fuoripasto, ma è sconsigliata a chi ha disturbi cardiovascolari. Il rimonabant, dal canto suo, può essere molto utile in chi soffre di sindrome metabolica, in chi sta cercando anche di smettere di fumare, ma non sembra la scelta migliore per chi ha disturbi dell'umore. Infine, un'avvertenza generale: se dopo 3-6 mesi di farmaco, di qualsiasi farmaco, non si hanno risultati significativi (perdita di almeno il 5% del peso iniziale), non vale la pena di continuare.

Maurizio Imperiali



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