OGM? No, grazie

21 maggio 2004
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OGM? No, grazie



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La domanda che affligge i consumatori è in fondo sempre la stessa: gli OGM sono davvero sicuri per la salute umana o nascondono qualche rischio? A giudicare dai numeri lo scetticismo è diffuso, in particolare alle nostre latitudini. I consumatori europei, infatti, a differenza di quelli statunitensi, che sono più aperti alle biotecnologie e hanno pregiudizi culturali inferiori, hanno una istintiva avversione verso questi prodotti. Le ragioni? Etiche, politiche, socio-economiche, scientifiche un po' meno per la verità, anche perché in realtà non esistono elementi certi per dire che gli OGM siano in qualche modo dannosi. Nuoce sicuramente il fatto che dietro alla produzione di OGM vi siano grandi organizzazioni e compagnie industriali, un elemento che aumenta i sospetti. Fatto sta che gli italiani si dichiarano spaventati e disorientati e lamentano poche e confuse informazioni.

La fiducia è poca...


Secondo Eurobarometro 2002, in Italia una persona su due boccia senza appello i cibi OGM, un dato in aumento negli ultimi anni. Un problema che riguarda strettamente il biotech alimentare, visto che test genetici e clonazione terapeutica sono invece promossi a pieni voti. Dall'indagine è emerso come gli italiani siano più ottimisti degli altri europei nei confronti del biotech ma si oppongano ai prodotti ritenuti futili o dietro ai quali si nasconderebbero forti interessi economici come gli OGM, appunto. Ma non è l'OGM in sé a far paura: il pubblico si è detto favorevole al loro impiego per la produzione di enzimi come additivi per detersivi meno dannosi per l'ambiente. Alta, invece, l'opposizione verso i prodotti ritenuti superflui o utili solo ad alcuni gruppi, come le multinazionali. Nel settore del biotech a ispirare più fiducia agli italiani sono associazioni di malati, medici, ricercatori universitari e organizzazioni dei consumatori. Agli ultimi posti figurano, invece, stampa, governo e industria e anche in questo caso i numeri sono inequivocabili.

...e anche l'informazione


Il 36,3% degli italiani si dichiara poco o per niente soddisfatto dell'impegno delle aziende alimentari per garantire la sicurezza degli alimenti che immettono sul mercato. Il dato è emerso in un sondaggio della Doxa, secondo il quale a incrinare la fiducia dei consumatori sarebbe anche la presenza di OGM negli alimenti. Non va molto meglio per quel che riguarda i media. Il volume di informazione prodotto dai media sulle agrobiotecnologie cresce, non altrettanto la qualità. Lo dice l'Osservatorio di Pavia, secondo il quale gli articoli pubblicati sono passati da 371 nel 2001 a 527 nel 2002. Ma dallo studio emerge anche come il termine OGM abbia una valenza prevalentemente negativa e come gran parte dell'informazione abbia assunto toni da battaglia ideologica, con contrapposizioni radicali. In pratica più opinioni che fatti. Ma il diritto all'informazione e alla scelta dei consumatori sono indiscutibili? Secondo Paolo Martinello, Presidente del Comitato Consumatori Altroconsumo, molti ritengono che l'informazione al consumatore non sia dovuta né necessaria, in quanto questi prodotti sono sicuri e sostanzialmente equivalenti ai loro omologhi convenzionali. Forse temono che indicando in etichetta l'origine OGM di un prodotto alimentare, il consumatore eviti di acquistarlo. Ma non è così. Fermo restando di provarne la sicurezza, prerequisito fondamentale e irrinunciabile all'autorizzazione al loro utilizzo, le applicazioni che producono reali benefici ai consumatori, all'ambiente e alla collettività possono ottenere un indubbio consenso sociale. Il miglioramento del valore nutrizionale degli alimenti o l'eliminazione di rischi tossicologici e igienici nel processo produttivo o nel prodotto stesso sono un esempio.
L'introduzione sul mercato di alimenti transgenici pone parecchi problemi di tipo economico, politico ma anche ambientale e nutrizionale. Se, però, la legislazione che entrerà in vigore riuscirà nell'impresa di garantire al consumatore diritto di informazione e di scelta forse questi prodotti troveranno un loro mercato e potrebbe non essere una chimera la possibilità di far coesistere colture tradizionali, biologiche e transgeniche. Nell'attesa meglio essere cauti.

Marco Malagutti



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