Trasparenza nel consenso

28 marzo 2008
Aggiornamenti e focus

Trasparenza nel consenso



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In una visione poetica del ciclo della vita, quando una vita si spegne un'altra si accende, un circolo virtuoso che potrebbe trovare il suo compimento nel trapianto d'organo, il miracolo della medicina moderna che salva vite o ne migliora la qualità. Così lo definisce l'autore di un commento apparso sul New England Journal of Medicine, insieme ad alcune considerazioni etiche su come ottenere il consenso informato, partendo da un presupposto: è in aumento il divario tra la richiesta di organi necessari per il trapianto e il numero dei donatori.

Normative etiche


Per rispondere a questa necessità è fondamentale che il processo di consenso del potenziale donatore o dei suoi familiari sia informato e assolutamente volontario, e poiché tutto accade in seguito alla morte di un paziente, è importante che non si perda di vista che chi sta morendo è una persona e non solo una fonte di organi. Un passaggio molto delicato per i familiari e per i medici, che negli Stati Uniti, è regolato da un atto (Uniform Anatomical Gift Act - UAGA) elaborato dalla Commissione sulle leggi di base. In una prima versione del 2006 prevedeva che il potenziale donatore nella fase di fine vita fosse sottoposto a trattamenti per mantenere le funzioni vitali in attesa che si verificasse l'idoneità al trapianto. Anche se il paziente aveva precedentemente dichiarato di non voler essere sottoposto a tali trattamenti. In molti di questi casi, i medici di terapia intensiva e rianimazione facevano appello all'etica professionale e nel 2007 la norma è stata modificata. Nel 2007 l'UAGA è stato modificato enfatizzando la necessità di stabilire il prima possibile con il paziente o con chi ne fa le veci, le disposizioni e le sue volontà sui trattamenti di fine vita anche a rischio di perdere organi potenzialmente trapiantabili.

Ipotesi di conflitto di interessi


Ma le difficoltà non sono finite qui, secondo il medico di Boston, docente di etica medica e di anestesiologia pediatrico, perché secondo la normativa, gli ospedali americani pubblici (Centri Medicare e Medicaid) devono notificare al centro trapianti (organ-procurement organization - OPO) i pazienti la cui morte è imminente o già avvenuta e assicurarsi che ci sia una figura designata o rappresentante della OPO che si interfacci con il paziente o i familiari per ottenere il consenso informato. Questo significa mettere a disposizione informazioni che aiutino alla scelta e spieghino l'urgente necessità di organi dei pazienti in attesa e del valore che avrebbe la donazione per chi la riceve. "Recentemente le OPO hanno adottato una strategia - scrive il medico - che introduce gli operatori del centro trapianti nel team di medici senza necessariamente rivelare il loro duplice ruolo di difensore degli interessi del donatore e del ricevente, agendo nella supposizione che donare gli organi è semplicemente una cosa giusta da fare. Un approccio, cioè, di tipo presuntivo". Un approccio che secondo il medico compromette le basi del consenso informato, che invece dovrebbe essere trasparente e imparziale. In risposta a queste affermazioni, si levano le voci di alcuni medici che operano News England Organ Bank, la più vecchia organizzazione di organ-procurement. Hanno scritto al New England una lettera affermando che la maggior parte delle OPO hanno abbandonato l'approccio cosiddetto presuntivo per adottare quelle del dual advocacy, cioè la difesa degli interessi del donatore e del ricevente, sulla base del fatto che, se a una persona viene data la possibilità, sceglie di aiutare gli altri. Ma chiarendo, d'altra parte, che chi richiede la donazione non deve dimenticare i bisogni della famiglia del donatore. Considerando la delicatezza del tema per entrambe le parti è bene che l'ago della bilancia non trovi un equilibrio che risponda alle esigenze della pratica clinica ma anche a quelle dell'emotività delle persone coinvolte.

Simona Zazzetta



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