Bisturi per i chili di troppo

01 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Bisturi per i chili di troppo



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Ormai è assodato l'obesità non va considerata semplicemente un problema estetico bensì una patologia grave inquadrabile come la più importante, insieme al fumo, causa di morte prevenibile. Ecco perché l'Organizzazione Mondiale della Sanità la indica come il maggiore problema di salute pubblica, che richiede interventi seri e urgenti da parte delle autorità sanitarie. Ma lo stesso Ministero della Salute italiano ha attivato alcuni provvedimenti, tra cui una campagna d'informazione sulla corretta alimentazione e sui corretti stili di vita. In un simile quadro anche la chirurgia dell'obesità patologica è in continua espansione, sia su scala nazionale sia mondiale. Lo confermano i numeri forniti a Spoleto nel corso del convegno Acoi. Dodicimila interventi negli ultimi 5 anni, con un ritmo di 3mila operazioni l'anno e altri duemila che attendono di essere operati. Ma funziona? A giudicare da una review, pubblicata su JAMA, che ha preso in considerazione tutti gli articoli pubblicati in materia tra il 1990 e il 2003, sembrerebbe di sì. E anche bene.

Il bisturi funziona


Il 5% della popolazione statunitense è obesa. Una condizione contro la quale in molti casi possono poco sia la dieta sia la terapia farmacologica. Meglio, invece, il ricorso alla chirurgia bariatrica. Per determinarne l'impatto sulla perdita di peso, gli autori della ricerca hanno considerato sia la mortalità operatoria sia le comorbidità come ipertensione, iperlipidemia, diabete e apnea ostruttiva notturna. Si è arrivati a un totale di 136 studi clinici considerati per oltre 22000 pazienti esaminati, il 19% uomini, il 72,6% donne e un 8% non dichiarato. I risultati sono del tutto favorevoli all'approccio chirurgico, considerato che l'eccesso di peso è stato ridotto nel 61,2% dei casi e che la mortalità non supera lo 0,1% per le procedure di restrizione gastrica, che sono le più diffuse in Italia. Ma anche le condizioni di comorbidità hanno riscontri favorevoli dopo gli interventi. I numeri, perciò, sono decisamente positivi. Ma quando si fa ricorso a questo approccio?

Tanti interventi un unico obiettivo


L'approccio chirurgico diventa necessario quando i ripetuti tentativi dietetico-farmacologici, nonostante il supporto psicologico, falliscono. Si parla di chirurgia per l'obesità grave da almeno 40 anni a partire da presupposti fisiopatologici semplici: ridurre l'introito alimentare o indurre uno stato di malnutrizione. Si deve risalire al 1954 per avere la prima descrizione di bypass digiuno-ileale. Ma si deve arrivare alla fine degli anni '80 perché sia messa a punto una tecnica di restrizione dell'introito alimentare che prevede, in luogo della alterazione chirurgica dell'anatomia dello stomaco, il posizionamento di un anello di silicone con parte interna gonfiabile, il cosiddetto bendaggio gastrico regolabile. Una tecnica che permette di ridurre l'introito alimentare riducendo al minimo i rischi connessi all'esecuzione di altre manovre chirurgiche. Oggi, perciò, si fa ricorso al bisturi quando l'indice di massa corporea è superiore a 35 e sono in atto malattie come il diabete grave, l'ipertensione grave o l'artrosi della colonna o dell'anca. Si distinguono interventi di restrizione gastrica, che sono i più diffusi in Italia, (gastroplastica verticale e bendaggio gastrico regolabile) e quelli di stimolo della sazietà (by pass gastrico e elettrostimolazione gastrica). Per ridurre, invece, l'assorbimento intestinale si ricorre alla diversione bilio-pancreatica che dà anche i risultati migliori in termini di riduzione del peso in eccesso. Ha, infatti, mostrato il vantaggio di determinare una più efficace e duratura perdita di peso, sino a un calo del 70-80% dell'eccesso di peso. L'ultima evoluzione nella chirurgia bariatrica, infine, si chiama pace-maker gastrico, un elettrodo applicato alle pareti dello stomaco, in grado di ridurre lo stimolo della fame. Ce n'è davvero per tutti i gusti e se oltretutto funziona...

Marco Malagutti



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