Ipertensione polmonare si può fermare

14 novembre 2008
Aggiornamenti e focus

Ipertensione polmonare si può fermare



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La pressione sanguigna nel sistema cardiocircolatorio è un elemento fondamentale per garantire l'adeguato apporto sanguigno. Ma anche nei singoli organi o distretti è necessaria una pressione, in genere più bassa di quella sistemica, che se resta costante ne garantisce il funzionamento, se si altera provoca danni all'organo e dintorni. Tra gli organi, che possono essere gravemente compromessi da una variazione della pressione interna, ci sono i polmoni: l'ipertensione polmonare consiste proprio nell'aumento di almeno cinque volte del valore di base, che di norma è cinque volte più bassa di quella sistemica.

Rara, cronica e degenerativa


Viene considerata una malattia rara (2,5 casi su 100 mila ogni anno), spesso associata ad altre malattie, come sclerodermia, ipertensione portale, infezioni da HIV, cardiopatie congenite, tromboembolia polmonare, è di natura cronica e degenerativa, senza per ora soluzioni definitive, nemmeno nel trapianto di entrambi i polmoni. La sua evoluzione consiste in un ispessimento proliferativo della parete dell'arteria polmonare, che tende a ostruirsi il lume: un vaso che si restringe necessita di una maggiore pressione per mantenere il flusso sanguigno. Questo significa anche che la parte destra del cuore, che spinge il sangue venoso verso i polmoni deve dilatarsi di più per superare la resistenza che incontra dal polmone: il costante sovraccarico di lavoro sostenuto provoca affaticamento del ventricolo destro che, per compensare (cioè per diventare più efficiente), si ipertrofizza e si dilata, fino a un vero e proprio rimodellamento dell'organo. La conseguenza estrema in assenza di diagnosi e terapia è lo scompenso cardiaco e il decesso, ma prima di arrivarci la vita si rende molto complicata: stanchezza e affanno possono compromettere fortemente lo svolgimento di una normale quotidianità, in cui anche mangiare diventa faticoso. Il livello di tale compromissione si può codificare grazie alle classi di funzionalità definite dall'Organizzazione mondiale della sanità: dalla I alla IV dove, a una funzionalità via via più bassa, corrisponde un'ostruzione sempre più estesa dell'arteria polmonare e una dilatazione più ampia del ventricolo destro.

Bloccare il peptide


Gli studi molecolari hanno individuato in un peptide, l'endotelina, un ruolo chiave nell'effetto vasocostrittore e proliferativo della patologia. Sulla scia di queste scoperte, si è avviato un filone di ricerca farmacologica che ha portato a definire una classe di farmaci inibitori di tali recettori in grado di bloccare gli effetti dell'endotelina. La sperimentazione è stata più spesso condotta su pazienti in fasi avanzate (III e IV) ma in fasi più precoci, spesso in pazienti ancora giovani (30-40 anni) e con una vita attiva e produttiva, il vantaggio clinico di una terapia precoce è tutt'altro che banale. Gli effetti di uno di questi farmaci, il bosentan, è stato testato in uno studio condotto anche in Italia su pazienti di classe I e II, con pochi sintomi, una vita tutto sommato normale. "Lo studio EARLY - spiega Nazzareno Galiè, responsabile del Centro ipertensione polmonare presso l'Istituto di cardiologia dell'Universtià di Bologna, coautore della ricerca - ha monitorato per sei mesi gli effetti del farmaco e di un placebo verificando che in questa breve finestra chi non veniva curato andava incontro a un peggioramento della malattia. Il farmaco invece portava a una riduzione dell'ipertensione del 23%, a un miglioramento della capacità di esercizio e soprattutto a una stabilità clinica, vale a dire un non peggioramento". Nella sua esperienza clinica nell'ospedale bolognese, Galiè segnala la presenza di pazienti in terapia con bosentan da diversi anni che tuttora vengono seguiti dal Centro.

Simona Zazzetta



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