Intrappolati nel traffico fatale

10 maggio 2006
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Intrappolati nel traffico fatale



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Nell'immaginario collettivo rimanere vittima di un incidente stradale rientra in quelle infinite possibilità della vita in cui il destino sembra mettere lo zampino (maligno). Tuttavia è possibile guardare questi eventi con occhi diversi, se a farlo è l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che notoriamente si occupa della salute della popolazione, trasformando un incidente stradale da segno del destino a causa di mortalità al pari di un infarto o di un ictus cerebrale. Entrano così in gioco percentuali di probabilità che svestono il fenomeno del fatalismo a esso attribuito.

Sbilancio mondiale


La Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa ha stimato che i danni provocati da incedenti stradali sono destinati a scalare le posizioni delle cause di malattia e, dal nono posto occupato nel 1990, potrebbero salire al terzo nel 2020. Quindi non più una casualità ma una causa piuttosto probabile di perdere la propria salute.Comunque i dati attuali non sono certo rassicuranti: per ora quelli di riferimento risalgono al 2004 e indicano che gli incidenti stradali sono la undicesima causa di morte nel mondo. Considerando il tasso di mortalità ogni 100 mila abitanti, i valori più bassi si registrano nei paesi più ricchi, quelli più alti nei paesi poveri o comunque a medio reddito. Tuttavia, nei cosiddetti paesi ricchi, il 2% del prodotto intero lordo viene investito nei costi diretti degli incidenti stradali, il doppio rispetto ai paesi poveri (1%). Infatti, nei paesi abbienti, anche se l'80% dei costi è attribuibile a eventi non fatali, il 2% degli incidenti non fatali spiega il 44% delle spese mediche per cure croniche. E queste includono terapie prolungate, perdita di entrate economiche, conseguenze sui familiari e sui loro dipendenti e spesso significa un impoverimento familiare.Ma la situazione era abbastanza prevedibile: nella decade degli anni '90 c'è stato un incremento del 10% del numero di decessi annuali sulle strade, tra il 1975 e il 1998 è cresciuto nel 44% in Malesia, del 79% in India e oltre il 200% in Colombia, Cina e Botswana.Secondo la Banca Mondiale, che ha contribuito a fornire i dati, la rapidità di crescita del rischio di morte per incidente stradale dipende, per definizione, dal tasso di crescita della motorizzazione di un paese e da come variano i tassi di incidenti fatali. Nei passati 25 anni, i proprietari di veicoli sono aumentati nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, ma a questa tendenza non ha corrisposto un aumento della sicurezza, al punto che è stata molto più veloce del calo degli incidenti stradali. Questo significa che nei prossimi 2 ???.?0 anni le morti su strada aumenteranno del 66% a livello mondiale, ma con una divergenza: mentre nei paesi ricchi si prevede una riduzione del 28% degli incidenti fatali, in Cina e in India si prevede un aumento del 92% e del 147%, rispettivamente. Per contro, se è vero che nei paesi benestanti, tipo in Norvegia, si abbassano i tassi di decesso, è anche vero che la riduzione degli esiti non fatali è insoddisfacente. Vale a dire che si muore di meno ma le ospedalizzazione restano stabili e aumentano i numeri dei danni permanenti, delle disabilità e dell'eleggibilità per la pensione da disabili. Un dato che dimostra che c'è un aumento del numero delle persone sopravvissute ma von danni che richiedono cure a lungo termine.

La dura vita del pedone


L'anello debole in questo scenario resta il pedone o comunque chi gira su due ruote a pedali o a motore, sono infatti una popolazione di vittime stradali molto ben rappresentate nella casistica e a maggior rischio di disabilità. Ancora una volta il primato negativo lo detengono i paesi più poveri, dove l'intensità del traffico e la promiscuità dei percorsi con veicoli ad alta velocità aumentano le probabilità di coinvolgimento in incidenti. Nel 1997 i danni subiti dai pedoni erano il 41-75% di tutte le fatalità stradali nei paesi meno sviluppati. Un'altra categoria a rischio sono i passeggeri di mezzi pubblici ufficiali e non (bus, taxi, pick-up e furgoni convertiti a trasporto di persone). Diversa è la situazione dei paesi ricchi dove le vittime più comuni sono proprio quelle a bordo di vetture: in Nuova Zelanda nel 1970 erano il 50% delle vittime, nel 2000 sono diventate l'80%.Da questi dati è abbastanza chiaro che gli incidenti stradali sono candidati a diventare, più o meno rapidamente, un onere per la sanità pubblica e un prezzo da pagare in vita umana e in qualità della vita. E questo aspetto sembra già pesare in misura maggiore su paesi economicamente o socialmente in difficoltà.

Simona Zazzetta



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