E se non fosse la classe economica?

17 marzo 2006
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E se non fosse la classe economica?



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Se ne parla ormai dagli anni '50, ma la scienza non ha ancora dimostrato con sicurezza che esista un nesso tra il viaggio in aereo e l'insorgenza di embolie o altri fenomeni patologici a carico dei vasi, la cosiddetta sindrome da classe economica. E gli ultimi studi sull'argomento non hanno certo trovato soluzione all'annosa questione. Il primo, dell'università di Birmingham e pubblicato su Cardiovascular Disorders, ha concluso che non ci sono prove che un viaggio in aereo di oltre tre ore possa aumentare il rischio di trombosi venosa profonda, mentre i viaggi di durata superiore alle otto ore potrebbero causare un aumento del rischio, ma solo in presenza di condizioni patologiche preesistenti. Ancora più caustico uno studio di Lancet che, addirittura, negava categoricamente a questa sindrome il diritto all'esistenza. Si spiega così perché un editorialista della rivista abbia sostenuto come sia "ancora presto per obbligare le compagnie aeree ad allargare i sedili della classe economica o per obbligarle ad adottare costose misure di profilassi, perché occorre disporre di informazioni maggiori sia sull'entità del fenomeno sia sull'efficacia di misure di prevenzione meno costose". Ed è ancora Lancet a tornare sull'argomento, con una ricerca pubblicata nel suo ultimo numero, che sostiene come il fenomeno si possa effettivamente verificare dopo 8 ore di volo, ma a giocare un ruolo centrale non siano necessariamente i sedili stretti.

Lo studio australiano


La malattia innanzitutto. L'ipotesi era che lo stare seduti a lungo, in uno spazio angusto, con le gambe rattrappite, rallentasse la circolazione del sangue nelle vene degli arti inferiori, facilitando il formarsi di coaguli, che spostandosi (emboli) possono arrivare al cuore e chiudere i rami dell'arteria polmonare con esito anche mortale. Ma il meccanismo che innesca questo processo non è mai stato chiarito. Le ipotesi sono state molte: dall'immobilità prolungata ad altri specifici fattori legati al volo, come l'ipossia ipobarica che potrebbe attivare il sistema di coagulazione. Ma nessuno studio nel passato ha mai cercato di prendere in esame i singoli fattori separandoli l'uno dall'altro. In più, gli studi effettuati ad oggi, precisano i ricercatori, non hanno mai contemplato partecipanti esenti da fattori di rischio specifici, come la presenza di mutazioni genetiche o l'uso di ormoni. Lo studio di Lancet ha così cercato di accertare se un volo di 8 ore conduca a uno stato di ipercoagulabilità, considerando tutti i fattori potenziali. Lo studio ha preso in esame, perciò, 71 volontari sani in cui sono stati misurati i marker dell'attivazione della coagulazione e della fibrinolisi prima, durante e dopo il volo. Gli stessi soggetti sono poi stati coinvolti in due situazioni controllo (una maratona filmica di 8 ore e situazioni di vita quotidiana), per separare gli effetti del viaggio aereo dai fattori inerenti l'immobilizzazione e il ritmo circadiano (cioè le variazioni fisiologiche nell'arco della giornata). Infine, sono stati inclusi nello studio soggetti, la metà del totale, con fattori di rischio specifici per la trombosi come la mutazione del fattore V di Leiden e l'assunzione di contraccettivi orali. Il risultato sorprendente è stato che, dopo il volo, la concentrazione di TAT (complesso trombina-antitrombina), uno dei marker dell'attivazione della coagulazione, è aumentata significativamente, ma è diminuita dopo il cinema e dopo le situazioni di vita quotidiana. Un dato ancora più evidente nei soggetti con la mutazione che utilizzavano contraccettivi orali. Come a dire che a incidere in maniera significativa non è necessariamente l'immobilità, ma molto più probabilmente una predisposizione o, comunque, un meccanismo ancora da identificare che indurrebbe il fenomeno trombotico in aereo. Ma i fattori presenti durante un volo aereo e assenti nelle altre situazioni, e quindi potenzialmente influenti, sono molti. Dall'ansia alla disidratazione, dai cambi di temperatura alla scarsa qualità dell'aria, dalle vibrazioni al rumore, dalle accelerazioni alle radiazioni elettromagnetiche. Quale di queste condizioni ha un effetto sul meccanismo della coagulazione? Difficile rispondere dopo questo studio, concludono i ricercatori. Altre ricerche se ne dovranno occupare ma, nel dubbio, chi ha accertati fattori di rischio prenda le dovute precauzioni.

Marco Malagutti



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