Assistenza a region veduta

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Assistenza a region veduta



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Da "Sistema Sanitario Nazionale" (modello centralizzato) a "Sistema Sanitario Regionale" (modello decentralizzato): con l'introduzione delDlgs. 502 del 30 dicembre 1992, e le successive modificazioni e integrazioni, oggi le Regioni hanno, in campo sanitario, gradi di libertà molto ampi, che permettono loro di legiferare localmente e gestire autonomamente il meccanismo di finanziamento delle aziende sanitarie regionali (Ausl, ospedali azienda, strutture private, ...), di gestire l'assetto istituzionale (delineando il numero e le dimensioni delle aziende pubbliche) e di amministrare l'assetto organizzativo delle aziende sanitarie. "Il tutto, però" afferma il professor Elio Borgonovi, direttore del Ce.R.G.A.S. (Centro diRicerche sulla Gestione dell'Assistenza Sanitaria) "garantendo obbligatoriamente l'erogazione di precisi livelli essenziali di assistenza (detti LEA), concordati tra Stato e Regioni". In pratica, si tratta di un elenco di servizi sanitari (tradotti in prestazioni sanitarie) che, per legge, la Regione deve garantire al cittadino per mezzo dei fondi finanziari stanziati dallo Stato. Per il 2002 l'accordo sui LEA è avvenuto l'8 agosto 2001, integrato nella Finanziaria 2002 entrata in vigore il 1° gennaio 2002.

I fondi finanziari statali...


Per finanziare il servizio sanitario delle regioni lo Stato ha stabilito un preciso ammontare di denaro da destinare alle Regioni, diverso da Regione a Regione. "Per evitare disuguaglianze" spiega Borgonovi "lo Stato, infatti, definisce la cifra da erogare alle Regioni in base a precisi parametri (come, per esempio, il numero di cittadini residenti, l'età media, ...); tale ammontare dovrà essere sufficiente a gestire tutte le prestazioni necessarie a coprire i livelli essenziali di assistenza. Tutti gli eventuali disavanzi (per prestazioni ulteriori o all'interno dei LEA) non saranno più a carico dello Stato, ma dovranno essere gestiti direttamente dalle Regioni (come spiegato meglio nel paragrafo sotto). L'ipotesi di fondo del sistema, quindi, è che avendo questo limite qualitativo (per tipo di servizio) e soprattutto quantitativo (tetto massimo di fondo finanziario), le Regioni siano portate a razionalizzare il servizio sanitario (l'offerta). La scelta della Lombardia, per fare un esempio, è creare competizione tra pubblico e privato, così da far sopravvivere solo i servizi migliori.

Oltre l'essenziale...


"Tutti i servizi non previsti dai livelli essenziali di assistenza possono essere gestiti autonomamente dalle Regioni". E' questo, in sostanza, uno dei punti che più delinea la regionalizzazione in campo sanitario, differenziando i tipi di finanziamento del disavanzo da Regione a Regione. "A parte il fondo dello Stato, infatti" sostiene Borgonovi "le Regioni possono decidere in loco come gestire l'offerta dei servizi eccedenti i LEA. Tra le varie possibilità, i modelli più spesso adottati sono quelli dei Ticket (quota fissa da pagare al momento dell'erogazione del servizio), quelli delle aliquote o delle imposte (aggiungendo una percentuale, per esempio dello 0,2%, che i cittadini devono pagare per avere automaticamente diritto ai servizi sanitari non previsti dai LEA) oppure quelli dei "fondi integrativi finanziari" (una sorta di fondo assicurativo che, con il pagamento di quote, garantisce la copertura dei costi di eventuali necessità sanitarie al di fuori dei LEA)". Secondo Livio Garattini, economista sanitario e direttore del CESAV, il fatto che sia la Regione a dover effettuare il prelievo dovrebbe indurre a una maggiore razionalizzazione: "Vista la maggiore vicinanza agli elettori, gli amministratori locali dovrebbero essere più incentivati a procedere a misure che aumentino la spesa soltanto a ragion veduta".

Per evitare lo "scarica barile"...

In passato, con il modello centralizzato, la gestione del servizio sanitario era affidata in primo luogo allo Stato, che doveva finanziare, controllare e rimediare alle"distrazioni" delle Regioni in campo sanitario. Oltrea dipendere dal Ministero, quindi, c'era anche la possibilità di "scaricare" le colpe molto più facilmente di quanto si possa fare oggi. Nei casi di disavanzi, infatti, con il precedente sistema era facile che la colpa venisse passata da Roma alle Regioni e viceversa. Oggi, grazie ai LEA e alla regionalizzazione, se qualcosa non quadra nella macchina della sanità non si deve più cercare in remote zone (e spesso senza risultato) al di fuori della Regione: il responsabile non può che esserein casa!

Modelli teorici di organizzazione regionale...

Una volta avvenuta la regionalizzazione, però, come si sono orientate le Regioni? In Italia i modelli teorici di riferimento sono sostanzialmente 4, e cioè:

1. Modello a centralità azienda AUSL

Tipo di organizzazione in cui l'azienda Ausl gestisce direttamente la maggior parte dei servizi sanitari, compresi quelli ospedalieri. Il finanziamento dell'Ausl avviene per quota capitaria, in base all'età della popolazione e, eventualmente, ad altri indicatori epidemiologici. Attingendo alla quota capitaria, l'Ausl ha però l'onere di pagare le prestazioni rese ai propri cittadini da altri ospedali azienda, strutture private accreditate o strutture socio-sanitarie (come le comunità per tossicodipendenti, alcolisti, ...). Com'è facile immaginare, è questo il servizio che induce il maggior aumento dei costi; le tariffe che si pagano esternamente, infatti, sono molto simili al costo pieno delle prestazioni interne.

2. Modello a centralità regionale

In questo modello è la Regione che tiene in mano le redini del servizio sanitario, finanziando tutti i produttori (aziende Ausl, ospedali azienda, strutture private accreditate, strutture socio-sanitarie) con il sistema "tariffa per prestazione" (fino al limite stabilito dal contratto aziendale o dal tetto di spesa). Per evitare eccessive espansioni del costo delle prestazioni, la regione può optare per tre diverse strade:
  • imporre ad ogni produttore un contratto di fornitura, che determini volumi (numero di prestazioni) e tariffe per ogni prestazione;
  • imporre ad ogni produttore un tetto di finanziamento massimo, lasciando che il gioco della domanda e dell'offerta fissi i costi;
  • imporre al complesso dei produttori un tetto di finanziamento massimo, lasciando così ai produttori e al gioco tariffario il compito di regolarizzare i costi.
3. Modello di separazione tra acquirenti e fornitori

Ispirato al modello inglese, è il modello in cui le Regioni optano per un assetto istituzionale che separa dalle aziende Ausl tutte le forniture di servizi ospedalieri e specialistici, lasciando così solo le funzioni di igiene pubblica, di veterinaria, di medicina di base e socio-sanitaria (centri per tossicodipendenti, strutture di ricovero non ospedaliere, ...). In questo modello (come nel primo) l'Ausl è finanziata "a quota capitaria" e ha l'obbligo di pagare le prestazioni di strutture pubbliche e private effettuate ai propri residenti. In pratica, si tratta di un modello basato sulla separazione tra acquirenti, (l'AUSL si limita a comprare prestazioni) e fornitori e sulla libertà di scelta, che impone all'Ausl di attivare tutti i possibili strumenti impliciti di governo della domanda (lo sviluppo di logiche negoziali che facciano risultare conveniente ai produttori la sottoscrizione di contratti, nonché l'attivazione di tutti gli strumenti impliciti di indirizzo della domanda come, per esempio, la definizione di percorsi diagnostico-terapeutici).

4. Modello conservatore di transizione

Si tratta del modello optato da quelle Regioni che, dopo aver istituito le aziende Ausl e quelle ospedaliere, non sono riuscite o sono in attesa di modificare i metodi di finanziamento, ostacolati in genere dalla mancanza dei necessari strumenti di supporto gestionale. In pratica, è un modello in cui il finanziamento avviene in base alla spesa storica, in cui la Regione mantiene un ruolo di primo piano assoluto, anche nei confronti delle strutture sanitarie private accreditate, nonostante la stessa Regione spesso dimostri debolissime capacità di governo.


Sino ad oggi, il modello preferito dalla maggior parte delle Regioni italiane è quello "a centralità Ausl", scelto soprattutto dalle Regioni del centro-nord (Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana), ad eccezione della Lombardia che ha optato per l'assetto che separa produttori da acquirenti. Molte Regioni del centro-sud (Lazio, Sicilia, Sardegna, Campania e Puglia), invece, si trovano ancora nel modello conservazione-transizione, in cui i finanziamenti avvengono ancora in base alla spesa storica. Infine, il modello a centralismo regionale è in atto solo in alcune piccole Regioni.

Annapaola Medina



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