Salute, un diritto da garantire a tutti

14 settembre 2007
Aggiornamenti e focus

Salute, un diritto da garantire a tutti



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Il diritto alla salute dovrebbe essere universale, ma già uno sguardo veloce agli Stati Uniti lascia intuire che così non è. E i Paesi del Terzo Mondo non possono certo garantirselo. Resta quella parte di mondo occidentale che in questo diritto crede, l'Europa ne fa parte ma con una nota stonata che risale al 2004.

Disuguaglianze da eliminare
Il Governo del Regno Unito ha deciso, negli anni recenti, di adottare una politica più restrittiva che rende a pagamento i trattamenti ricevuti dal Servizio sanitario nazionale (National Health Service - NHS) per immigrati senza documenti o a persone che non hanno avuto il riconoscimento dell'asilo politico. La scelta è stata giustificata con la paura che gli stranieri si recassero nel Regno Unito per poter usufruire gratuitamente di cure, ma Lancet, per esempio, l'ha considerata come un'ansia del Governo per la propria popolarità elettorale. Gli stessi commentatori affermano come le paure fossero infondate e non supportate da evidenze e come questa legge violi il diritto internazionale e i diritti di quasi mezzo milione di persone che chiedono asilo, ulteriormente impoverite dagli oneri economici che devono sostenere. La gestione dei problemi sanitari di questa popolazione, presente sul territorio inglese, è passata alle organizzazioni non governative. La Medicine du Monde inglese, per esempio, ha creato il Project: London, un'iniziativa che opera nella città di Londra e facilita l'accesso alle cure a queste persone. Ma conduce anche piccole ricerche sulla base dei dati che raccoglie con la sua attività e nel luglio 2007 ha rilasciato un documento focalizzato sulle donne in gravidanza: delle 39 che si erano rivolte alle cliniche dell'iniziativa nel 2006, 28 avevano tentato di avere cure perché avevano avuto difficoltà o in ospedale o negli ambulatori di medicina di base. Sette di loro non hanno potuto pagare le prestazioni sanitarie prenatali a causa dell'elevato costo. Numeri piccoli, ma rilevanti in una realtà limitata.

Informati e curati
Ma la svolta anglosassone non ha smesso di sollevare reazioni. Sempre dalla stessa rivista scientifica, in un numero recente, si sono levate le voci di altri medici che operano o meno nel sociale, per ribadire il diritto alle cure sanitarie degli stranieri considerati vulnerabili proprio perchè privi di documenti. Un'epidemiologa fa notare che uno degli obiettivi del governo inglese è quello di neutralizzare le disuguaglianze nell'accesso alle cure sanitarie. Ma i dati parlano di ineguaglianze nell'ambito infantile e neonatale con un eccesso di morti di bambini nati da donne di colore o asiatiche rispetto a quelle di etnia bianca. E questo, sottolinea la dottoressa, forse riflette il fatto che sono per lo più le persone di origine africana quelle che vedono la richiesta di asilo (o di permesso di soggiorno) rigettata. Sovrapponendo i due dati, la scelta di negare alle donne di questa etnia le cure prenatali va nella direzione opposta della riduzione delle disuguaglianze. Rispondono anche alcuni medici di Medicine Sans Frontières che operano nel Sud Italia, i quali sostengono che una politica che dà accesso alle cure non è detto che sia sufficiente perchè se chi può usufruirne non ne è a conoscenza non sa di avere questa risorsa. Secondo i loro dati il 40% degli immigrati visitati nel 2004 si è ammalato dopo sei mesi, il 93% dopo 19 mesi, eppure il 75% dei rifugiati, l'85,3% dei richiedenti asilo e l'88,6% degli immigrati illegali non hanno beneficiato delle cure sanitarie. In base alla loro esperienza, le condizioni per garantire agli immigrati illegali l'accesso alle cure sono: una legge che lo consenta, un impegno politico che lo sostenga con un'adeguata mediazione interculturale e programmi orientati in questa direzione.

Simona Zazzetta



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