Che cosa manca alla sanità?

11 aprile 2008
Aggiornamenti e focus

Che cosa manca alla sanità?



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Dalla culla alla bara, era lo slogan dello stato sociale e del suo sistema di tutele, ottima traduzione del termine welfare, introdotto nella Gran Bretagna del secondo dopoguerra. Ed è anche la principale differenza tra i paesi europei, pur con accenti diversi, e gli Stati Uniti. Stato sociale che significa tante cose, a cominciare dal servizio sanitario universalistico, cioè rivolto a tutti, e capace di coprire, tendenzialmente, tutte le prestazioni. Così è stato, con qualche incidente di percorso, fino a oggi anche in Italia. Certamente sono stati introdotti i ticket, ma il sistema ha retto. Oggi però la spesa che i cittadini sostengono direttamente per prestazioni sanitarie o comunque riconducibili alla cura e alla salute, ha raggiunto circa il 20%. "Nella quasi totalità si tratta della spesa per le badanti e per le cure odontoiatriche" ha spiegato il professor Francesco Longo, direttore del CERGAS dell'Università Bocconi, e ha anche detto che il conto è presto fatto: in Italia operano circa 700000 badanti, che percepiscono in media 800 euro al mese.

Sfavoriti i redditi più bassi


Ovviamente è plausibile che a questi due capitoli di spesa se ne affianchino altri: per esempio la visita specialistica privata per guadagnare tempo, il farmaco etico prescritto dallo specialista e altro. "Un aspetto da considerare è che questa spesa privata presenta una regressione negativa: riguarda soprattutto le persone con reddito medio basso, mentre chi gode di un reddito elevato più facilmente riesce a trovare un percorso per ottenere le prestazioni di cui ha bisogno". Un vecchio discorso: spesso se si ancora l'erogazione, per esempio, di un'indennità di accompagnamento solo alla malattia e non alla capacità economica, è ben possibile che questa venga a data a chi non ne ha un bisogno immediato ma ha gli strumenti, anche culturali, per ottenerla. Come ha ricordato Longo, non è che non esista l'assistenza domiciliare integrata, erogata dalle ASL, ma la tipologia di questo servizio non può coprire tutte le necessità del paziente non autonomo: a volte non servono il medico o l'infermiera professionale, ma chi vada in posta o a fare la spesa. Per questo spesso si è detto che il capitolo dell'assistenza o della cura a lungo termine andava separato da quello dell'assistenza sanitaria in senso proprio, cioè diagnosi e cura. Ma non è mai stato così, e per molti anni in Italia si sono avuti ricoveri ospedalieri che in realtà erano assistenza sociale a non autonomi, essendoci poco o nulla da diagnosticare o curare. Ora, è quello che si chiedeva lo stesso Longo, si deve decidere se questo 20% che paga il cittadino va fatto rientrare o no nella spesa a carico del Servizio sanitario. Poi, è chiaro, sono possibili molte modalità diverse: c'è il sistema del voucher, usato per esempio in Lombardia, che consiste nel fornire al cittadino una certa cifra con cui acquistare dei servizi; ma c'è anche la possibilità di organizzare l'erogazione diretta di questi servizi da parte della Regione. Quel che manca però è un fondo ad hoc per l'assistenza ai non autosufficienti: una legge è stata votata nelle ultime settimane, ma l'investimento previsto è molto piccolo. D'altra parte, di tasse, anche cosiddette di scopo, cioè finalizzate a un preciso obiettivo, nessuno vuol (sentire) parlare.

Vecchi, vecchi ospedali

Ma questa non è l'unica carenza del Servizio sanitario nazionale: ce ne sono altre anche più direttamente legate all'attività di cura. Non si tratta delle tecnologie, che anzi in Italia come ha spiegato Longo sono presenti in quantità adeguata seppur male distribuita, ma proprio i muri di ospedali, ambulatori e ASL. Sono strutture vecchie di decenni, che pongono anche in forse la stessa possibilità di svolgere adeguatamente le funzioni cui sono chiamate. La spesa per rimediare a questa carenza è stata stimata in 30-40 miliardi di euro. Non è poco, ma suddividendola su 10 anni non sarebbe nemmeno impossibile sostenerla. Certo cambiando anche le modalità con cui finora sono stati affrontati i progetti: dal momento in cui si assegnano i fondi a quello delle aggiudicazioni di tempo ne passa troppo e quando si ricorre ai finanziamenti privati o alle banche, l'ente pubblico paga molto più di quanto succede nelle transazioni tra privati e senza trasferimento del rischio. E anche questo aspetto, alla fine, pesa sulla tutela della salute.

Maurizio Imperiali



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